venerdì 23 luglio 2010

Giardini in autunno. Otar Iosseliani (a mo' di introduzione)

Ho proprio voglia di vedere l'ultimo film di Otar Iosseliani (nella foto), Chantrapas, ma chissà mai quando riuscirò ad acciuffarlo. Così mi sono consolata rivedendo il suo penultimo, uscito nel 2006. E solo da un'occhiatina ai titoli di coda, ho scoperto cose che allora, vedendolo al cinema, mi erano sfuggite: per esempio, uno dei produttori è Ermanno Olmi, e poi Iosseliani fa recitare le persone più incredibili. 
Ad esempio, Michel Piccoli appare negli esilaranti panni di una energica vecchina, madre del protagonista, il giornalista e fotografo (ora di "Novaja gazeta", il giornale di Anna Politkovskaja) Jurij Rost porta in giro i bambini a cavallo nel parco e, infine, lo scrittore Vladimir Vojnovič impersona un impacciato burocrate che cambia il cestino da sotto il tavolo del nuovo ministro dopo la defenestrazione del vecchio. Oh, non riesco proprio ad andare in ordine perché conoscendo Vojnovič e il suo gusto per l'humour e per il grottesco, mi immagino le risate che si saranno fatte lui e Iosseliani a girare quelle scene. E adesso che ci penso, i due sono accomunati dallo stesso sguardo caustico, disincantato e allo stesso tempo, lirico e affezionato.Un tempo credevo che satira e lirica fossero due poli opposti e inconciliabili, poi ho cominciato a ricredermi dopo aver letto Platonov. Vojnovič mi ha definitivamente convinto di quanto sia plausibile questa particolare coincidenza degli opposti. Peccato sia un po' fuori moda e non si traduca ancora l'ultima parte del suo Čonkin.
Eccolo qua Vojnovič e poi la mammetta-Piccoli. 


E non è un caso che non abbia messo un primo piano né dell'uno né dell'altro. Iosseliani mi ha sorpreso dichiarando più volte di non sopportare i primi piani. Per diversi motivi: il primo, probabilmente, perché il primo piano distrugge l'attore, il personaggio, mettendo in evidenza l'uomo concreto, empirico. Vira verso il naturalistico e il finto realistico, uccide l'arte e quel che essa ha di universale pur lavorando con immagini uniche e particolarissime. Il secondo motivo è forse più profondo e molto dostoevskijano. Il primo piano, secondo il regista, è un procedimento rischioso e quasi indecente. E' una sorta di tentativo di rubare il segreto dell'altro. Un limite che si tenta di scavalcare. Un'operazione poco pudibonda e superba, piena di ubris. Anche Dostoevskij non descriveva mai completamente i suoi eroi e lasciava molto nel vago... In realtà a me, profana, i primi piani spesso piacciono, ma la motivazione di Iosseliani vale di per sé un pensierino.



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