lunedì 13 settembre 2010

La poetica delle staccionate






"Mi piace molto la modesta vita dei proprietari dei villaggetti sperduti, "del mondo antico", come solitamente vengono chiamati nella Piccola Russia: come pittoresche casupole tutte decrepite, essi sono belli per la varietà dei loro colori e la loro assoluta contrapposizione alle nuove costruzioni belle lisce con i muri non ancora sbiaditi dalla pioggia, con i tetti non ancora ricoperti di muffa e con il terrazzino d'ingresso da cui ancora non spuntano i mattoni rossi sotto l'intonaco scrostato. A volte mi piace entrare per un momento nella sfera di questa vita straordinariamente isolata, dove nemmeno un desiderio vola al di là della palizzata che cinge il cortiletto, oltre la staccionata del giardino pieno di meli e prugni, oltre le isbe del villaggio che lo circondano, un po' storte su un lato, all'ombra dei salici, dei sambuchi e dei peri."       N.V. GOGOL’, Starosvetskie pomeščiki (Proprietari del mondo antico), Sobranie sočinenij v devjati tomach, Moskva 2004, p. 197.





















In un saggio intitolato La cornice (1902) Georg Simmel riflette sul rapporto tra  realtà e opera d'arte e la strana, enigmatica loro dialettica di inclusione ed esclusione. La specificità del














l'opera d'arte rispetto all'oggetto reale sta nel sua carattere di totalità, di unità autonoma, mentre i fenomeni naturali costituiscono un flusso continuo dove ogni elemento è in relazione con il resto. "Essenza dell'opera d'arte è di essere, invece, una totalità per sé, che non ha bisogno di alcun rapporto con l'esterno, ma riconduce ognuno dei fili della sua trama al proprio punto centrale" (G. Simmel, Il volto e il ritratto. Saggi sull'arte, Il Mulino, Bologna 1985, p. 101). 










I confini di un'opera rappresentano così la chiusura e la difesa del mondo delle forme simboliche nei confronti del mondo esterno e al tempo stesso la sintesi che unifica i contenuti interni. La cornice di un quadro svolge questa duplice funzione, esprime il riserbo dell'arte nei confronti di ogni ambito vitale, collocando lo spettatore a quella distanza che rende possibile la fruizione estetica.























Trovo che questa funzione-cornice che ritaglia un pezzo di mondo, isolandolo e rendendolo significante sia un motivo ricorrente nelle opere d'arte, nei modi più diversi (le finestre, ad esempio), come se il bisogno di isolare sia una necessità primaria anche per immergersi nella realtà e poi poterla connettere con altre dimensioni.  


In letteratura questo ruolo è spesso assolto dagli incipit a dai finali: la stessa forma del racconto (il romanzo è un'altra storia, vuole per essenza proiettarsi fuori da se stesso) è in realtà una cornice che contiene e delimita.  E non è un caso che la staccionata domini e ritorni a delimitare, recintare e in parte anche a nascondere. Solo in parte però, perché a pensarci bene, essa non è invalicabile, anzi contiene in sé un invito ad entrare, come quello di Čechov che ci fa un cenno all'inizio di Reparto numero 6.







"Nel perimetro dell'ospedale sorge un piccolo padiglione circondato da un vero e proprio bosco di cardi, d'ortica e di canapa selvatica. Il tetto è tutto rugginoso, il comignolo è per metà crollato, gli scalini alla porta d'ingresso si sono imputriditi e ricoperti d'erba, e dell'intonaco non è rimasto che qualche traccia. Con la facciata anteriore il padiglione guarda all'ospedale, con quella posteriore alla campagna, da cui lo separa la grigia staccionata dell'ospedale, irta di chiodi. Questi chiodi, voltati con la punta all'insù, e la staccionata, e il padiglione stesso, hanno quell'aria particolare di squallore e di dannazione, che da noi in Russia è una prerogativa degli stabilimenti ospedalieri e carcerari.  
Se non avete timore delle scottature d'ortica, inoltriamoci per lo stretto sentierino che conduce al padiglione, e guardiamo che cosa succede là dentro. Aperta la porta d'ingresso, entriamo nell'atrio".



























































Andando a spasso per la Russia meridionale, vicina alla Piccola Russia di Gogol' e alla città natale di 
Čechov ci si innamora delle staccionate, palizzate, recinti, graticci, e in russo zabor, 
la parola che usa Čechov e vuol dire precisamente cinta chiusa - che non lascia trasparire - di norma più alta di un uomo), pleten' (dal verbo intrecciare, infatti è fatta di rami intrecciati con grande maestria), gorod'ba, izgorod, ogoroža, palisad, palisadnik, stena, tyn, častokol (la parola che usa Gogol' e che indica la palizzata, una serie di pali piantati uno dopo l'altro).





































E, a proposito, come è chiaro dalla radice, in russo anche la parola gorod, città, ha la stessa radice e richiama l'idea di recinto, luogo separato, protetto... Ma questa, come al solito, è un'altra storia...














































6 commenti:

  1. Molto suggestive le tue immagini sui recinti, staccionate e palizzate varie.
    Hai colto uno dei simboli più importanti e profondi attraverso cui si esprime l'inconscio archetipico perchè il bisogno di delimitare, circoscrivere, stabilire un confine è una specifica esigenza dell'Io per proteggersi dal caos e "imparare a proteggere e prendersi cura del proprio orticello"
    E' naturalmente collegato al femminile come grembo che contiene e protegge ed ha il suo corrispondente spirituale nel recinto che contiene la Vergine e l'Unicorno.

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  2. Sarà l'autunno incipiente... è fisiologico che il desiderio di chiudersi in uno spazio protetto prevalga sull'altrettanto vero bisogno di aprirsi e spendersi. Che strano, io mi occupo di superfici, tu di profondità eppure, alla fine, parliamo delle stesse cose. Grazie, come al solito

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  3. Sì, perchè sopra e sotto, superficie e profondità sono due aspetti della stessa realtà, se rimangono collegati. "La via che scende e la via che sale sono la stessa cosa" diceva già il grande Eraclito.
    Il guaio è che nella nostra epoca il collegamento si è spezzato e si guarda solo alla superficie, a quello che appare e che questo non venga più nutrito dal profondo.
    Come se la scala di Giacobbe fosse stata tagliata e gli Angeli non possono più percorrerla tenendo collegati il sù e il giù...

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  4. eh già, però sono cose rischiose, quel rapporto con gli Angeli a Giacobbe è costato la giuntura dell'anca...

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  5. Veramente la lesione all'anca fa parte di un altro episodio, quando Giacobbe lotta tutta la notte con l'Angelo. Quello (il lottare con l'Angelo) sì che è pericoloso. La scala è invece una immagine bellissima di collegamento tra cielo e terra ed appare in sogno.
    Comunque sono sempre aspetti tra loro collegati e ogni cosa, come vedi ha le sue due facce.

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  6. hai ragione. Quel sogno e l'incontro dopo con l'angelo (che all'inizio è chiamato semplicemente "un uomo") mi sono sempre sembrati episodi molto enigmatici. Mat' Marija, una poetessa russa morta in un lager tedesco, scrive varie poesie sull'argomento. Magari provo a tradurne qualcuna (prima o poi, purtroppo)

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