martedì 7 settembre 2010

La stanica Elanskaja









                              Eh già, cerco di prenderla da lontano e di tirarla per le lunghe. Difficile parlare dei cosacchi, difficilissimo parlare di Šolochov, delle terre del Don, in particolare se sei stato ospite vezzeggiato e coccolato, e italiano, per giunta. Dalla stanica di Šolochov, Vešenskaja, si vedono bene le alture dove gli italiani erano appostati insieme ai rumeni. Luogo di sofferenze e lacerazioni a cui abbiamo contribuito in parte anche noi. Accerchio il problema, tergiverso e rimando, e parlo di un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, Elanskaja, una stanica poco lontano da Vešenskaja, che può essere un buon punto di partenza, quasi un simbolo, per un giretto fuori dalle cartoline e dagli stereotipi. Il nome sembrerebbe tutto un impeto cosacco, uno slancio, proprio nello spirito dei fieri abitanti del luogo. E invece viene solo dall'Elan, un fiumiciattolo che scorre poco lontano.


La stanica esiste da 311 anni, la sua fondazione nel 1699 è testimoniata da più documenti. La vicina Vešenskaja diventava troppo affollata e alcuni nuclei familiari si stabilirono poco più in là, sempre lungo il Don, in posto relativamente riparato dalle incursioni tatare. Nel 1704 questo nucleo si definisce stanica. La prima cosa che costruiscono è una cappella di legno senza altare dedicata a San Nicola portatore di miracoli. Ben presto l'abitato cresce perché i cosacchi accolgono tutti quelli che arrivano, non hanno alcun senso della nazionalità. L'unica condizione, l'unica domanda: "credi in Dio?". A cui si rispondeva semplicemente: "credo". Aleksandr Šolochov, nipote dell'autore del Placido Don, afferma che i cosacchi sono "un ceto con alcune caratteristiche di etnos". Dal 1730 la chiesa viene consacrata. La situazione del clero era allora difficile: pochissimi i preti, spesso ignoranti, e le loro funzioni venivano espletate dagli anziani della stanica. Alla fine del secolo san Tichon, a quel tempo episcopo di Voronež, manda in giro alcuni suoi sacerdoti al fine di capire cosa succede. A quel tempo i cosacchi erano soprattutto contadini e pastori (in tempo di pace), comunitariamente organizzati nella obščina (la comunità contadina). Dal 1805 al 1814 i cosacchi del Don partecipano attivamente alle campagne contro Napoleone e per questo la loro chiesa di legno viene ricostruita in pietra nel 1826. Il progetto è di un famoso architetto, Ivan Starov, autore di grandi opere a Pietroburgo (rimaneggiò il Palazzo di Tauride, per esempio), molto apprezzato da Potemkin. Un edificio importante con un colonnato davanti che ora è solo in parte conservato. Per tutto l'Ottocento la popolazione cresce, negli anni Novanta vi ci abitano 15.000 persone, c'erano diverse scuole sia maschili che femminili, vi si praticavano i mestieri più diversi.


Dopo la rivoluzione, agli inizi degli anni Trenta, la chiesa fu danneggiata, le campane fatte a pezzi e fuse per recuperare il metallo. La sorte delle campane riflette quella della gente del posto, spazzata via dalla razkazačivanie, la decosacchisazione (?), il terrore di massa contro i cosacchi organizzato fin dal 1919 dal governo dei bolscevichi che non perdonarono a questo ceto di essersi schierati con i bianchi per la maggior parte.
Durante la seconda guerra mondiale la stanica venne bombardata dai tedeschi, la chiesa fu colpita ma rimase in piedi. Non così la stanica che è andata declinando dalla Rivoluzione in poi. 
Ora ci abitano 42 persone. Stanno restaurando la chiesa, a poco a poco, dagli anni Novanta.



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