giovedì 23 settembre 2010

Un segnalazione di Giulia.


Scrivo sull’onda dell’entusiasmo per aver trovato, dopo alcune delusioni, un libro profondo, sincero, schietto e interessante. Per una volta pubblico, critica, marketing, mercato – insomma tutto ciò che ruota intorno a un “prodotto editoriale” (come dicono i professionisti del settore di oggi) è stato unanime e anche io mi aggiungo al coro e al battito di mani.
Sto parlando di Podstročnik (letteralmente "traduzione interlineare") di Lilianna Zinov’evna Lungina, uno dei rari casi di libro uscito dopo il successo incredibile del film diretto dal regista Oleg Dorman. L’autrice, oggi forse nota ai più giovani come madre di Pavel Lungin – regista di Ostrov (L’isola) – era molta famosa nei circoli letterari moscoviti del Novecento. Lilianna ha attraversato il secolo breve a modo suo, ricamando una storia e un destino particolari. Traduttrice, scrittrice ma soprattutto pensatrice e intellettuale nel senso più alto e bello del termine, ovvero donna che usa il suo intelletto per affrontare ogni sfida con onestà e umanità.
Nelle vicende che narra non c’è alcun pathos romantico o tentativo di idealizzazione; mancano anche la condanna severa e il giudizio irrevocabile. Con la loro disarmante semplicità, le parole di Lilianna, sempre scelte con cura e attenzione, permettono al lettore di scoprire un ritratto della storia russa dagli anni ’20 agli anni ’90. Lilianna non provoca, non sentenzia e non esalta. Racconta. Le difficoltà e le tragedie della guerra e del periodo stalinista, le lotte e la mancanza di libertà, le perdite umane e le sconfitte morali sono narrate con un distacco e allo stesso tempo una partecipazione assoluti, sempre in difficile ma perfetto equilibrio.

Lilianna confessa i suoi errori e le sue vigliaccherie, la debolezza che a volte cattura l’animo umano ma anche la forza delle idee e delle proprie convinzioni, per le quali più volte lei stessa e i suoi amici o conoscenti sono stati costretti a rischiare la propria vita. Come una dolce melodia di sottofondo scorrono i pensieri e i ricordi affettuosi per il marito, Semen Lungin, sceneggiatore e regista teatrale scomparso nel 1996. A lui sono dedicate pagine intense e commosse ma mai lacrimevoli o retoriche: la pura presa di coscienza dell’amore di una moglie per il suo uomo che l’ha accompagnata lungo una vita intensa e ricca di avvenimenti.
Già l’infanzia della scrittrice è degna di nota: il padre combatte in Germania e decide di tornare in Russia proprio quando tutti cercavano di fuggire. La madre, dipinta come un acquerello difficilmente decifrabile, in primis dalla figlia, si trasferisce con la figlia in Francia, poi in Palestina e infine in Germania. All’inizio degli anni ’30 non sopporta più il distacco dal marito e fa ritorno in patria. Inizia così la vita universitaria moscovita di Lilianna e il confronto con le tragedie dell’epoca – la guerra, l’evacuazione, i lager, il disgelo – e personali – la morte del padre, degli amici in guerra, la partenza o la prigionia di altre persone care.
Due note in questo libro colpiscono in modo sorprendente: innanzitutto il tono della sua voce che si alza, cresce o diventa sussurro ma rimane sempre fedele a se stessa, senza tradirsi o perdersi nel rumore di parole finte, artificiali. In ogni capitolo si presentano al lettore i volti più noti e importanti di alcuni decenni – Evtušenko, Solženicyn, Nekrasov, Brodskij, Tvardovskij – visti attraverso gli occhi di Lilianna, che li racconta non nel modo in cui siamo abituati a conoscerli, come figure di rilievo della loro epoca, ma prima di tutto come uomini, con i loro piccoli e grandi pregi e difetti; diventano più umani, ironici, pieni – ben lontani dall’immagine che ne abbiamo attraverso le loro opere o le intrusioni mediatiche.
In secondo luogo, fin dall’inizio, si scorge il messaggio di questo racconto, didascalico ma appassionato e sperimentato sulla propria pelle. L’autrice spesso ricorda che il suo primo pensiero va ai lettori più giovani, ai ragazzi che non hanno vissuto la guerra e i decenni bui della storia russa, ai figli che oggi come non mai tendono a dimenticare in fretta le parole dei propri genitori. La vita di Lilianna vuole essere un memento e uno specchio – consapevolmente personale e per questo privo di qualsiasi arroganza e pretesa di universalità – affinché dal passato possano nascere preziosi consigli per l’oggi e il domani.
Chi parla è la persona che ha permesso al pubblico russo di conoscere i capolavori di Astrid Lindgren, i romanzi di Strindberg, di Vian – per citarne soltanto alcuni. Eppure non si sente mai alcuna nota di compiacimento o elogio, alcuna fierezza o superbia (che pure sarebbero comprensibili). Con umiltà, ma soprattutto con sincerità, Lilianna svela il suo mondo, le speranze e le paure che lo hanno abitato, la tristezza che, dal momento della scomparsa del marito, è diventata una compagna di strada con la quale fare i conti ogni giorno ma anche le gioie dei successi del figlio Pavlik e l’allegria dei nipoti.
Una vita, insomma, che tanto ha da dire e da cui si può imparare a essere, se non più saggi, almeno più veri.

Giulia De Florio

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