domenica 18 settembre 2011

Per i 70 anni di Norštejn


Il 15 settembre Jurij Borisovič Norštejn, il grande Maestro dell'animazione russa, ha compiuto 70 anni. Mentre aspettiamo pazienti che vada avanti il suo Cappotto traduco un pezzetto di Sneg na trave, La neve sull'erba. Un libro meraviglioso, brogliaccio di pensieri immagini, lezioni dotte e semplici epifanie. Qui sta parlando del lavoro dell'artista, ma credo valga per tutti noi e per tutti i nostri lavori, che nella loro "professionalità tecnica", nella ripetizione dei gesti quotidiani possono nascondere insospettate riserve di creatività. Proprio quella di cui parla Jurij Borisovič.


"Intendo dire: non abbiate paura di fare film in modo astratto. Esso non è meno reale di quanto non sia raffigurare le cose realisticamente. In quale caso rimanga più spazio per la fantasia è tutto da verificare. 
Per superare la concretezza del disegno che ci è appena balenata davanti, è necessario non solo conservare ostinatamente nella propria testa la sensazione del film futuro, ma anche essere al di sopra di esso. Quando sorge un’immagine, ancora incomprensibile ma chissà perché assolutamente necessaria, e poi, quando ad essa si aggiunge il suono: è questo il segno che dentro di noi è iniziato il processo di comprensione del film. Propriamente fare un film significa cominciare a comprendere se stessi, e, anche se appare come un paradosso, solo dopo essersi avvicinati al finale si capirà in modo definitivo quello che veramente si voleva dire. Se la comprensione arriva prima del lavoro, comincerete ad annoiarvi del film ed esso potrebbe diventare non necessario. Nella prima percezione il film  romba  come il ritmo di un verso. Su questo ritmo si spargono le strutture musicali. Ci sono istanti in cui dal segreto della  coscienza improvvisamente sbuca fuori un gesto. Nell'ancora incerta sostanza del film si viene a svolgere il volto di qualcuno.
Oppure una pozzanghera splende nell’oscurità di un androne. E tu capisci che in quel posto la silhouette di qualcuno per un attimo si sovrapporrà al riflesso del lampione. O all’improvviso ti avvolge l’odore della neve che penetrerà nel coppino e  balenerà un cappuccetto rosso fatto ai ferri e gli alberi nella neve, e un pigro "cra-cra" di corvo e un silenzio sconfinato. E non importa in quale parte del film rimeranno questi versi che vedi solo tu. Sono venuti, troveranno il loro posto. Siamo ancora lontani da un’immagine concreta, ma tu artista devi fissare la tua sensazione nuova. E questo è lo stadio più difficile del lavoro. È più facile disegnare qualcosa di tecnico. 
A me poco importa  ciò che è disegnato bene. La maestria più alta non è la capacità di disegnare. La maestria più alta vuol dire riuscire a trovare relazioni tra il calore, la luce dentro il disegno, tali per cui sia possibile dare consistenza sensibile all’inquadratura. E ciò non ha niente a che fare con il disegnare bene. Per questo io chiedo una raffigurazione “pasticciata”: «Per favore disegna con la mano sinistra». Che sia arraffazzonato, che sia sciatto. L'importante è che coincida perfettamente con ciò che mi è apparso, che esprima le mie sensazioni. […] In genere un film deve essere costituito da parti non finite. In modo che ogni suo elemento nasconda in sé il principio di «una raffigurazione in più», di una «rozzezza in più». Questa costruzione permette alle parti non finite di collegarsi meglio l’una all’altra e di perfezionarsi in questo processo di unificazione. E allora è questa compattazione di energia – sia psicologica che spirituale – che io sento semplicemente in modo fisico. E tra l’artista e il regista sorge un campo magnetico. Tu devi solo creare le condizioni perché ciò si possa verificare. Quando tu ad un tratto cominci a fare ciò di cui la tua ragione non può aver consapevolezza e sembra che tutto accada senza il tuo apporto, secondo la volontà di qualcun altro. E tu persino non ti accorgi che a un certo punto è stato oltrepassato il limite oltre il quale si apre un altro spazio. E tutto accade con una leggerezza impensabile per te  solo.”
 “L’autentica libertà di un artista nel cinema si trova quando egli comprende in modo ideale la propria correlazione con il tutto, quando comprende che il suo lavoro è solamente una parte di questo tutto, che poi si condensa sullo schermo. Florenskij parlava della condensazione dell’energia interiore. Le forme concluse in se stesse non vengono a contatto le une con le altre. 
La condensazione ha origine dagli elementi che acquistano pienezza di suono  solo unendosi. «Se il chicco di grano cadendo nella terra non muore, allora rimane da solo; ma se muore allora può avere tanti frutti»". 

6 commenti:

  1. Cosa aggiungere? Mille commenti e idee. Non avevo mai pensato al "principio di raffigurazione in più" come a un'ipotetica meta, un traguardo artistico. Ho sempre creduto che fosse la liscia levigatezza del tutto a unire l'opera, mentre le asperità ne disturbassero la trama finale. Invece il punto di vista qui è ribaltato.

    Ah, Jurij Borisovich, quando vedremo il tuo Cappotto, sarà un giorno di festa per l'anima e gli occhi!

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  2. "Quando ad un tratto cominci a fare ciò di cui la tua ragione non può avere consapevolezza e sembra che tutto accada senza il tuo apporto, secondo la volontà di qualcun altro"

    La vera creatività spiazza sempre l'Io e le sue intenzioni e tutti gli Artisti danno testimonianza di questo arrendersi a qualcosa che li trascende, da Omero che trascriveva ciò che la Musa dettava (Cantami, Musa, del Pelide Achille...)a Rilke che era in continuo contatto con il suo Angelo.
    Interessante come Norstejn indichi i mezzi per spiazzare l'Io: disegnare con la mano sinistra, non finire del tutto i disegni... praticamente sacrificare il controllo e la volontà cosciente a favore dell'inconscio, lasciare una porta aperta allo Sconosciuto. E' anche la via dei Santi.

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  3. E' vero. Marisa, mi fai cogliere un aspetto a cui non avevo pensato. Leggendo questo brano di Norstejn ho avuto la stessa reazione di Giulia e mi è venuto da riflettere sul contrasto tra opera compiuta (la levigatezza di Giulia appunto) e abbozzo. Tutta la storia dell'arte e della cultura è pervasa da questo bisogno di incompiuto, di rozzo, di provvisorio. Io ci vedo l'eterna maledizione dell'arte le cui Muse, come dice il mio amato Vjaceslav Ivanov, non sono vere Sibille, sono Sibille per finta. Questo "per finta", la fiction aborrita dal più grande creatore di fiction che è Tolstoj, questo gioco che corteggia la vita e non riesce fino in fondo a fondersi con essa... mi sembra di vederlo in tutti i grandi che chissà perché, per mestiere o per passione, mi capita di incontrare.

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  4. Nell'incompiuto umano lasciare spazio alla Mano divina (Musa, Angelo, Demone, a seconda della voce che lo richiama) che porti a termine l'opera - mi pare sia anche un principio antichissimo nella Rus' ortodossa (penso alle icone).
    Non riusciamo a organizzare un seminario o qualcosa sul tema partendo dal libro di Norshtejn? Ho una voglia infinita di leggerlo e studiarlo...

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  5. Hai ragione Giulia, dovremmo scavarci un buchino per studiarlo insieme, usarlo come trampolino, ma i tempi? i modi? qualche idea?

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  6. Metto in moto il criceto nella testolina e ti faccio sapere

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