martedì 23 ottobre 2012

Il primo libro di Solženicyn



Ama la Rivoluzione!, pubblicato da Jaca Book nell'ambito di un progetto che prevede la proposta di altre opere di Solženicyn, fu scritto nel 1948 a Marfino, la šaraška (il lager "leggero" in cui lavoravano gli scienziati), poi immortalata nel Primo cerchio. Il giovane capitano d'artiglieria Solženicyn vi era rinchiuso dopo essere stato arrestato nel 1945 per aver scritto a un amico ciò che pensava di Stalin e di Lenin e della conduzione sovietica della guerra.
Libro profondamente autobiografico, esso narra la storia di un giovane di belle speranze, Gleb Neržin, che, allo scoppio della guerra contro la Germania, cerca in tutti i modi di farsi arruolare in artiglieria. Costretto, invece, soldato semplice nelle retrovie, l'ingenuo e intellettuale Neržin precipita nella realtà imprevedibile e ingovernabile della guerra che muta completamente la percezione di sé e del mondo.
Leggere Ama la Rivoluzione!, così ben tradotto e curato da Sergio Rapetti, è un buon viatico all'opera intera di Solženicyn perché si tratta di un nodo fondamentale della parabola creativa dello scrittore. Tra i diversi "saggi di vita letteraria", questo romanzo incompiuto colpisce per la sincerità e l'immediatezza del documento che, al tempo stesso, contiene in germe molti dei grandi temi futuri.

Il libro si salva fortunosamente solo grazie al coraggio e la cura di una amica e nel 1956 ritorna all'autore, che sceglierà di pubblicarlo nel 1999, lasciandolo immutato e incompiuto. Come se Solženicyn avesse voluto conservare quella immediatezza e quel particolare punto di vista di "un ingenuo ventitreenne" all'inizio della guerra, filtrato da un appena più navigato trentenne recluso nella šaraška.
E, in effetti, mentre nei romanzi maturi il filo rosso dell'autobiografia si intreccia con altri fili e l'autore rifrange la propria esperienza in più figure, qui il personaggio di Gleb Neržin è in gran parte sovrapponibile con il giovane Solženicyn.
Questa testimonianza autobiografica si può leggere come documento storico perché l'individuo Neržin si rappresenta e si percepisce essenzialmente come soggetto storico, "educato dal banco di scuola a non separare il proprio destino da quello del suo paese".
Solženicyn ci sta così documentando la mentalità, lo stato d'animo della sua generazione, i giovani del '17, i coetanei della Rivoluzione, che, nutriti del romanticismo rivoluzionario, aspettano di dare il loro contributo eroico alla grande causa luminosa. Molta storiografia ha messo a tema la relazione particolare tra società totalitaria e opinione pubblica, evidenziando che la costruzione del consenso era altrettanto importante ed efficace della repressione. Il desiderio di acquisire una biografia sovietica e di entrare nel corso della storia, il bisogno di plasmare e ricreare la propria vita, l'"automodellamento" (J. Hellbeck) nascevano da un clima di intense pressioni sociali e politiche, ma andavano ben oltre la politica per investire la sfera morale ed esistenziale. Proprio nel periodo del Grande Terrore molti giovani inurbati interiorizzavano l'ideologia comunista che non preesisteva al soggetto, ma da esso veniva attivata e agita. Ricostruendo il meccanismo dell'interiorizzazione dell'ideologia, Solženicyn ce ne rende tutta la complessità, anticipa qualsiasi storiografia e la sorpassa per profondità, ben prima di diventare il minuzioso cronista del Gulag.
Forte della missione che si sente dentro, Neržin a Mosca giudica la gente tutta presa dalla proprie preoccupazioni come una massa di bruti: con l'impazienza dell'idea non vede la realtà del popolo.
È qui che inizia la parabola personale e interiore di crescita del giovane "pivello" attraverso l'immersione nelle sofferenze del popolo descritte con laconica ed efficace partecipazione. Da questo momento il senso di fastidio quasi inconscio del dubbio (le molte cose che Gleb sa ma che si era allenato a non considerare) si affaccia sotto l'ideologia interiorizzata e aumenta fino ad arrivare, con un maestoso crescendo, al "gelido soffio di un mondo impensabile" che investe il giovane e che la scrittura esplicita con un agghiacciante, epico elenco degli orrori.
La realtà si presenta a Neržin in tutta la sua complessità, tragica e comica; la Russia intera (nome che era stato educato a considerare opposto a quell'altro sacro di "Rivoluzione") spira "fragrante di cipresso e d'incenso, di paglia e di betulla", spira nella figura reale ma potentemente simbolica del vigoroso vecchio canuto che salva la vita a Neržin e che lo guarda "come se stesse perdonandogli qualcosa".
E' il tema dostoevskijano della colpa e della responsabilità di ognuno per tutti che conclude il libro e annuncia il Solženicyn maturo. La parola solženicyniana si muove all'interno dell'intrico misterioso di colpa e innocenza, di carnefice e vittima. Per questo non si può strumentalizzare. Cosa che invece succede puntualmente. Il grande scrittore russo ha sempre trasceso ogni piccolo calcolo da guerra fredda e lo trascende anche ora che la guerra fredda è finita e non tutti sembrano essersene accorti.

E' uscito sull' "Indice dei libri del mese" di settembre.



Nessun commento:

Posta un commento