lunedì 10 dicembre 2012

Mozart e Salieri di Puškin




Mozart e Salieri in un disegno di Vrubel'
Nell'autunno 1830, confinato nella tenuta di Boldino da un'epidemia di colera, Puškin conosce una stagione di straordinaria creatività. Era andando lì per sistemare certe faccende che avrebbero dovuto avvicinare il tanto sospirato matrimonio con Natal'ja Gončarova. E invece, complice la quarantena, viene preso da un fiotto di attività. Tra le altre opere compone quattro "piccole tragedie" di cui una è il microdramma in due scene Mozart e Salieri o l'invidia, come l'autore l'aveva originariamente intitolato. Ma l'opera, enigmatica e laconica nella sua nuda essenzialità, va al di là di un'indagine psicologica su di una passione fatale (Puškin aveva già affrontato l'avarizia nel Cavaliere avaro e la lussuria nel Convitato di pietra) e si presenta come un mistero che, attraverso il topos del banchetto estremo, scava lungo le innervature sottili che collegano arte, morte e vita, genio e amicizia. Musica, pittura e poesia fondono i propri linguaggi, mischiano i propri simboli perché il poeta possa rovistare nelle profondità ancestrali e buie della vita grazie il fulgore lieve dell'arte.
Poco meno di sette anni dopo, il 29 gennaio 1837, dopo due giorni di agonia e un duello sconsiderato, il poeta russo morì. “E' tramontato il sole della nostra poesia”, mestamente annunciavano poche righe sul giornale “L'invalido russo”, mentre la salma veniva in fretta e furia trasferita nel cimitero di famiglia lontano dalla capitale. Lo zar aveva avuto paura della folla, già pronta a radunarsi, aveva avuto paura del poeta che teneva sotto stretta censura, anche da morto.
Il sole della nostra poesia. Da quel momento in poi tutta la letteratura russa è cresciuta nel riverbero di quel sole, nel confronto continuo con lo splendore della forma levigata puškiniana, con la chiarezza del suo ingegno e con le questioni da esso poste: l'autocoscienza nazionale, il rapporto tra arte e vita, il ruolo della Russia nella cultura europea, l'assetto sociale del paese...
Quel sole però conosceva benissimo i lati oscuri dell'esistenza, la tenebra repentina ("внезапный мрак"). E' l'allegro, solare Mozart che usa questa espressione, il Mozart che troviamo intento a giocare sul pavimento con il suo bambino, ma che parla anche di visione sepolcrale (ma smussa sempre, Mozart, non afferma mai con sicurezza, o "forse qualcosa di simile, или что-нибудь такой"): il calore di Mozart-Puškin non lo preservava dagli spifferi gelidi con cui il nulla si insinua nelle crepe dell'essere; il cantore del paese dagli spazi sconfinati poteva anche ansimare per il senso di claustrofobia e soffocamento di luoghi chiusi: torri, salette di volgari trattorie, oscuri recessi di dimore fatiscenti. E' questa l'ambientazione, infatti, delle piccole tragedie.
E proprio le piccole tragedie, tra cui Mozart e Salieri, sono una testimonianza dell'altro lato del sole, del nulla sempre in agguato a minacciare la pienezza dell'essere, del Male che insidia il Bene e la Bellezza, un binomio inscindibile per la grande tradizione culturale russa.
Puškin scrisse le piccole tragedie in un periodo particolare della propria vita. Era a Boldino, in campagna in l'autunno, la sua stagione preferita ed era consapevole di essere sulla soglia di una nuova vita. La zona circostante la sua tenuta venne raggiunta dal colera e i cordoni sanitari costrinsero il poeta a una reclusione forzata in campagna. Così  fu quasi costretto a finire l'Evgenij Onegin, il suo capolavoro (e gli dispiacque congedarsi dal proprio eroe, proprio come nella nostra tragedia a Mozart dispiaceva lasciare il suo Requiem), si cimentò per la per prima volta con la prosa, scrisse diverse liriche e queste piccole tragedie.
Mozart e Salieri riprende una leggenda diffusa alla fine del Settecento, secondo la quale Mozart era stato avvelenato da Salieri invidioso del suo genio. Com'è noto, si tratta di una leggenda senza fondamento storico, pur avendo goduto di molta fortuna anche in tempi recenti, soprattutto anche perché il drammaturgo inglese Peter Shaffer vi si è ispirato per una sua celebre opera (dichiarando tra l'altro il suo debito verso Puškin) e ne ha tratto il celebre film di Forman (1984).

Per la leggenda lo stesso Salieri avrebbe confessato il delitto in punto di morte. Il musicista era morto nel 1825 e Puškin aveva cominciato ad abbozzare la tragedia nel 1826. Un contracolpo all'attualità, dunque. L'opera avrebbe probabilmente dovuto intitolarsi Invidia e faceva parte di una serie di studi sulle passioni oscure che agitano il cuore dell'uomo.
Ma non vorrei parlare di questo, non vorrei leggere l'opera come un pezzo di bravura di introspezione psicologica. C'è sicuramente anche questo, ma non solo. C'è in tutte loro un'atmosfera comune, lo stesso tono, la stessa posizione. Sul ciglio del sepolcro. Sull'orlo del baratro. In questo senso Il festino in tempo di peste è un po' il simbolo di tutte quante. 
Vizi, avarizia, lussuria, invidia. sensazione soffocante della quarantena come metafora della vita intera. 

Queste piccole tragedie erano definite dall'autore scene (сцены) o esperimenti di studi drammatici (опыт драматических изучений).
E questo ci fa intendere il carattere sperimentale, la ricerca che accompagna tutta l'opera creativa di Puškin, ma che appare subito a una prima lettura di Mozart e Salieri: due scene laconiche e stringate, perfettamente costruite in base a un principio compositivo rigoroso basato sulla simmetria (figura di Armonia?) o piuttosto sull'inversione simmetrica: tre monologhi di Salieri (i due che circoscrivono la prima scena e l'ultimo, spezzato del finale) si specchiano nei silenzi e nelle repliche come casuali di Mozart ma soprattutto nelle tre esecuzioni della sua musica.

Tra l'altro, il trionfo del Requiem nel finale, sancito dallo stesso Salieri, rappresenta il rovescio dell'ultimo monologo di Salieri che non trova più argomentazioni. Quindi, il dialogo tra Mozart e Salieri è un dialogo tra il discorso razionale che procede invano per argomentazioni contro la musica che fluisce di Mozart. E' evidente che in questo contrasto tra verbale e musicale è presente anche la polemica tra l'orientamento gluckiano di cui Salieri era seguace (la parola, l'opera che diventava anche vero dramma di parola) e la novità mozartiana (che dava alla musica l'onere di forgiare l'operare).

La prima scena è archittettonicamente compiuta e conclusa: due monologhi e in mezzo il dialogo tra i due personaggi, una decisione che conclude il discorso. Una geometria perfetta.

La seconda, invece, è praticamente un frammento: inizia a metà conversazione e finisce con una domanda senza risposta, oltre che essere quasi costruita sui puntini di sospensione. Alla domanda finale di Salieri risponde solo il vuoto e il silenzio del testo, è la distruzione, la dissoluzione del discorso retorico. In tutta l'opera l'assertività di Salieri contrasta con il modo elusivo di parlare di Mozart, il suo procedere incerto per espressioni indefinite, per domande (“non è vero?” Smorzerà perfino la sua unica sentenza, uno dei nuclei semantici dell'opera: genio e delitto non vanno d'accordo) che cercano conferma.
Кое-что”, „что-нибудь”, „кого бы?”, „что-нибудь такое...”, „может быть”, „Отчего — не знаю”, „кто бы это был?”, „Мне кажется”, „правда ли”, „кого-то”, „что-то”.
E' ampio il ventaglio degli indefiniti nella lingua russa...
Qualcosina, un non so che, chi mai? qualcosa di simile, può essere, Perché non so, chi sarebbe mai stato= Mi sembra, davvero?, qualcuno, qualcosa

Il capovogimento finale, dunque, (la domanda senza risposta di Salieri) pesa come un macigno. La vera arte non è mai assertiva e univoca, è sempre elusiva e simbolica e non è un caso che Puškin qui scelga la più elusiva delle arti, la musica, per suggerircelo.

continua

3 commenti:

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  2. Il commento è approfondito e faccio i miei complimenti. Mi permetto di segnalare a parecchi anni di distanza una nuova interpretazione del dramma di Puskin Mozart e Salieri, immagino inedita, che ho appena letto nel libro Mozart la caduta degli dei. Le conclusioni ribaltano, in base a recenti apporti critici letterari russi documentati dai coautori, la visione che vorrebbe un Mozart esaltato come genio di natura contrapposto a Salieri, fatto passare per mediocre, geloso compositore.

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  3. Grazie, gentile Anna. Strano, proprio in questi giorni sto riprendendo il dramma di Puškin insieme a una studentessa. Comunque, Aleksandr Sergeeviò, forse, aveva previsto anche questo, creando il suo Salieri pieno di sfumature e contraddizioni, qualcosa di più che un invidioso mediocre. Terrò conto della sua segnalazione, grazie!

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