lunedì 6 maggio 2013

Dell'icona e del tempo III

Andrej Rublev: La Maestà di Cristo 1410




  
Tra la seconda metà del XIII secolo e l'inizio del XIV ebbe luogo la grande rinascita dell'ideale esicastico di contemplazione e vita eremitica, in continuità con la tradizione dei Padri del deserto, i quali già nel V secolo avevano elaborato la dottrina della preghiera del cuore. Essa consisteva nella ripetizione, nella "ruminazione" di brevi formule verbali, all'inizio non ancora stereotipate, che doveva portare a una disposizione permanente dello spirito, a un habitus spirituale, la perpetua memoria di Dio che entrava a far parte della vita intima tutta, nelle fibre più recondite del corpo, aderendo fin al respiro e al battito del cuore. La ripetizione, la non argomentatività della preghiera, insieme a una continua vigilanza e attenzione, erano segno e insieme mezzo per il raggiungimento di un atteggiamento totalmente interiore (la preghiera era infatti definita krypte, occulta, non in virtù di una sua esotericità, ma a causa del suo carattere intimo, opposto, per esempio, alla proclamazione dei salmi) grazie al quale tutta la persona, anima e corpo, operava in modo completamente estraneo al procedere abituale del pensiero, alla razionalità esteriore.

Tutto ciò aveva poi trocato una sua prima "sistematizzazione" nell'opera di Simeone, il nuovo Teologo (949-1022), il quale sviluppò un'altra linea dottrinale, quella della mistica della luce, che nell'esicasmo athonita si ritroverà costantemente associata alla preghiera di Gesù. Ma già san Giovanni Climaco, nella sua Scala del Paradiso, nel VII secolo indicava come percorso verso la theosis (lo stato deificato, in russo oboženie) l'abbandono di ogni elemento discorsivo-razionale, non tanto per negarlo, quanto per porsi al di là, in un'altra sfera: "L'esicasta dotato di conoscenza non possiede parole poiché nei suoi atti viene illuminato da ciò che le parole significano".
Lungo questa via di ascesi e contemplazione si trovava Gregorio Palamas (1296 – 1359), monaco del Monte Athos, teologo e mistico, divenne Arcivescovo di Tessalonica: colui che diede forma alla dottrina della essenza e delle energie. Vladimir Losskij considera l'apofatismo (la teologia mistica o negativa di Dionigi l'Areopagita) il carattere intrinseco della tradizione teologica orientale. Le due vie, quella apofatica e quella catafatica fin dall'inizio sono considerate complementari, ma quella negativa viene sentita come privilegiata, non per un malinteso agnosticismo, e nemmeno perché l'uomo e i suoi modi di significazione e di espressione sono impropri e imperfetti, ma perché è quella che più compiutamente riesce a esprimere la trascendenza assoluta di Dio: essa sembra venir quindi caricata di una più perfetta "positività", così come il silenzio finisce per diventare spazio di una comunicazione perfetta. La preoccupazione di San Gregorio, tuttavia, era quella dell'accessibilità di questa divinità trascendente. Dio è inconoscibile ma non raggiungibile: per la sua dottrina l'essenza divina è inattingibile, ma le energie divine si possono comunicare all'uomo, anzi nella loro irradiazione portano così purificazione e trasfigurazione della materia. Ciò ha un enorme influsso sull'arte.
Creazione di materia trasfigurata dalla luce divina, appunto.
La pratica esicastica parte dalla concentrazione interiore, equilibrio psicologico, suo superamento, distacco dal terreno, per una sua purificazione e non negazione.
Due sono le visioni che guidano l'esperienza religiosa:
San Macario, Teofane il Greco
quella ascetica con il ripudio dei valori terreni. E' la quiete contemplativa che troviamo soprattutto nell'arte bizantina. Le figure ieratiche di Feofan il Greco, per esempio (chi ha visto Andrej Rublev di Tarkovskij ricorderà a questo proposito l'accorata discussione di Feofan e Rublev). Le icone o gli affreschi di Feofan sottolineano il netto contrasto tra le figure scure dei santi e i raggi di luce che li avvolgono ma che non traspaiono da una sorta di loro cupezza interiore. I loro volti non esprimono la gioia dell'incontro con il divino, ma quasi il timore-tremore della resposabilità che portano.
quella trasfigurativa che parte non dal ripudio dei valori terreni, ma dalla loro trasfigurazione e recupero, purificati. Questa via è quella più tipica della tradizione russa dalla fine del XIV secolo, epoca di san Sergio di Radonež, fondatore della Lavra della Trinità, che inaugura un nuovo tipo di monachesimo, una modalità di essere santi più rivolta al mondo e che un punto di riferimento fondamentale per lo stesso Rublev.
Tutto il XIV secolo è pervaso dalla riflessione sull'ascesi e del perfezionamento dell'anima umana alla luce del tema taborico, la divina luce celeste che trasfigura l'umano. Le icone si concentrano sull'interiore, sull'intensità della vita spirituale, e lo fanno lavorando sulla luce che non è tecnica, ma sostanza del lavoro dell'iconografo. Gli assist (colpi di luce che si irradiano su tutta la superficie) e la crisografia diventano segno e percezione della luminescenza interiore della forma incarnata nella materia.
Le figure di Rublev sono quasi incorporee, delineate solo da un contorno appena accennato (neoellenismo, recupero della tradizione: composizione delle forme, gusto per le proporzioni, vasi greci). Contorni morbidi, sfumati in reiterazioni ritmiche, stilizzazioni che creano l'atmosfera di un mondo celeste, pacata beatitudine, assorta contemplatività.

Una vera e propria ontologia esicastica concepisce, dunque, il rapporto tra Dio e il mondo non secondo il modello del platonismo cristiano che prevedeva una frattura netta tra la perfezione divina e la imperfezione del creato, ma secondo la ferma convinzione della presenza divina nel mondo e quindi della potenziale possibilità del mondo di diventare perfetto, di diventare Dio, parola chiave infatti è obozenie, theosis, divinificazione. La penetrazione nel creato delle energie increate divine costituisce tale possibilità.
Questo per il creato intero e per la persona costituisce un compito, è come se ogni uomo fosse chiamato a realizzare quella pienezza, a trasfigurare il proprio essere, a far rilucere la luce che lo trapasserebbe se non si fa opaco. Il divino è comunicabile.

1 commento:

  1. Che bello questo tuo intersecare la "lectio" sulle Icone con i riferimenti ai modelli spirituali diversi ma complementari dell'ascetica e della trafigurazione!
    Il richiamo alla preghiera continua, che è il motivo portante del famoso libro del pellegrino russo,costituisce la base più importante per entrare in uno stile di vita meditativo fondato sul "mantra". Per noi occidentali, moderni e attratti sempre più dal pensiero razionale, è molto difficile non scambiare la "ripetizione del nome" per un rimuginamento senza senso di giaculatorie superstiziose e ne perdiamo tutto l'incanto e la leggerezza.
    Quando il cuore è felice canta...

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