giovedì 8 settembre 2016

Di rivoluzioni, bambini e libri illustrati. Da Giulia De Florio, la nostra inviata speciale a Londra




London calling
Quando si ha un Super Io grande come un trilocale mansardato c’è soltanto un modo per conviverci: fregarlo. Perciò, quando stai per finire la tesi di dottorato e la parola “vacanze” per quest’estate l’hai sotterrata nel giardino del vicino (tanto lui in ferie ci è andato, il maledetto), basta trovare una mostra indispensabile per scrivere LA verità finale sul tuo argomento e spacciare tre giorni senza libri e pc per «missione di ricerca».
Ah, a Londra, of course.

House of Illustration, 2 Granary Square, King’s Cross London.
Atmosfera da ex fabbrica dimessa, area riportata in vita con quel misto di finta trascuratezza e compromesso vecchio/nuovo che agli inglesi riesce sempre bene.
Un piccolo edificio, inaugurato nel 2014 come spazio dedicato all’illustrazione, da maggio a settembre ospita la mostra A New Childhood. Picture Books from Soviet Russia.
Tutto il materiale proviene dalla collezione personale di Sasha Lurye (Aleksandr Lur’e, presumo) che da ieri si è acquistato la mia personale e imperitura invidia.
L’organizzatrice, Olivia Ahmad, introduce la mostra sul suo blog e ne parla con cognizione di causa – lo dico perché non è sempre così, anche in mostre più famose.
Tre stanze, non troppo grandi, tappezzate di libri illustrati russi degli anni Venti e Trenta. Pardon, sovietici. E sì, perché i bolscevichi partono in quarta sull’argomento infanzia.
Dal 1917 il governo si mobilita in favore dei bambini, prima di tutto con iniziative concrete e lodevoli – il numero dei bambini abbandonati o orfani (una Guerra mondiale, una Rivoluzione e una guerra civile decimano e disperdono famiglie un po’ dappertutto) è mostruoso, «Infanzia randagia» s’intitola una sorta di report di inchiesta di V. Zenzinov (tradotto in italiano nel 1930, un miracolo) che dà un quadro veritiero e tremendo della situazione.
Nascono colonie, scuole, case e centri di recupero per ospitare bambini e ragazzi destinati, se non presi in tempo, a diventare ladri, malavitosi e criminali.
Impossibile, nel Paese del radioso avvenire.
A fianco e a complemento di politiche più strettamente sociali ci si muove anche sul fronte culturale. Che cosa devono leggere i bambini nati nel secondo tumultuoso decennio del XX secolo in una nazione enorme, devastata dalla guerra e da due Rivoluzioni, ma ora pronta – almeno così pare – a mettersi alla guida dei paesi comunisti, a diffondere il verbo marxista-leninista in tutto il mondo?
Qualcosa però si inceppa: da una parte insegnanti, pedagoghi, critici ligi – capitanati dalla signora Lenin (N.K. Krupskaja) mettono al bando la fantasia, l’immaginazione e la favola: la realtà è cambiata e a lei sola deve pensare il bambino sovietico. Tecnologia, spirito collettivo, edificazione sono le parole chiave.
Dall’altra gli anni Venti sono marchiati a fuoco dalle avanguardie, dai dibattiti – tra tutti e su tutto; Arvatov chiama a raccolta gli artisti perché diano opere «utili e comprensibili», le riviste letterarie nascono, si incrociano, muoiono e risorgono alla velocità della luce, finalmente elettrica in tutto il Paese («il comunismo è il potere sovietico + l’elettrificazione del Paese» dice zio Lenin).
È un tumulto senza fine, un complicatissimo quadro in cui Stato, censura, arte e politica sembrano viaggiare in cordata, rigidamente vincolati uno all’altro. È un momento di sfrenato fervore che investe anche la letteratura per l’infanzia, per la prima volta trattata come genere a sé stante e come terreno fertile su cui far crescere una tradizione.


Bambini nuovi, libri nuovi
Il libro è a tutti gli effetti la nuova cattedrale, il monumento della modernità – tuona Lazar – El – Lissickij, mentre fa scontrare quadrati rossi e neri per spiegare la vittoria bolscevica a grandi e piccini.
Scrittori e illustratori accettano la sfida.
Lo fa Maksim Gor’kij con la casa editrice Vsemirnaja literatura (Letteratura mondiale) – che nel suo progetto originale contiene anche una corposa selezione di favole e classici ormai per ragazzi (Twain, Dickens, Swift) –, ma soprattutto con l’almanacco Elka/Raduga dove trovano spazio poesie e racconti di V. Chodasevič, M. Vengrov, M. Moravskaja, Saša Černyj, illustrati da M. Dobužinskij, A. Radakov, S. Čechonin. A dirigere il tutto c’è l’altissimo e agitatissimo K.I. Čukovskij, il papà del Coccodrillo più famoso di Pietrogrado.
Lo fa Vera Ermolaeva con «Segodnja» (Oggi), un collettivo di Pietrogrado in cui lavorano N. Altman, Ju. Annenkov, N. Lapšin, N. Ljubavina ed E. Turova in collaborazione con S. Esenin, M. Kuz’min, A. Remizov, N. Vengrov ed E. Zamjatin, un vero e proprio ponte tra la tradizione modernista e naif del Mir iskusstva (Bilibin, Benois e compagni) e le nuove spinte dell’avanguardia (Tatlin, El Lisickij, Malevič) attraverso il neoprimitivismo e il recupero dell’immaginario popolare, della tradizione visiva contadina e del lubok di cui si nutrono i quadri di Gončarova, Filonov, persino Kandinskij.


Nella mostra trova spazio anche una serie di progetti in lingua yiddish, quando l’internazionalismo è ancora un obiettivo concreto e perseguito con tutte le forze, e spunta tra gli altri l’unico volumetto per l’infanzia illustrato da M. Chagall: La capretta, guarda un po’.
Alfabeti, manuali per imparare a contare e a fare le operazioni campeggiano al centro della seconda sala: non sono soltanto bei disegni dai colori accesi e provocatori, ma rappresentano la battaglia all’analfabetismo che la Russia porta avanti ostinatamente dall’inizio del secolo.
Dare ai bambini la possibilità di una minima istruzione vuol dire migliorare le condizioni dell’intera famiglia; spesso sono loro a leggere ad alta voce i giornali ai padri e alle madri, tornati a casa dopo una lunga giornata in fabbrica.



Il Paese devastato da carestia, guerra e povertà tira il fiato con la NEP, nel 1921 si contano più di 300 case editrici tra Mosca e Pietrogrado. Sopra tutte il Detizdat, la casa editrice per l’infanzia dello Stato che una volta finita la parentesi della privatizzazione sarà una delle poche funzionanti e attentamente regolate dall’alto; ma negli anni Venti c’è una Cenerentola che sembra in grado di stampare anche i sogni.

Un Arcobaleno speciale
Tempo fa una prof russa aveva tentato di convincere me ed Elena che la parola «arcobaleno» («raduga») derivasse dall’aggettivo «contento» («rad»); dato che la signora aveva la verve di una stufa di ghisa non le avevamo dato molto credito. Dieci anni dopo scopro che il grande V. Dal’ non esclude la correlazione. Che sia vero o no, la fanno senz’altro Čukovskij e L. Kljačko quando il primo convince il secondo a orientare la sua casa editrice alla letteratura per l’infanzia e non ai libri in lingua yiddish come aveva pensato all’inizio. Nasce Raduga, fiore all’occhiello del libro per l’infanzia illustrato. Qui escono tra il 1924 e il 1930 i capolavori assoluti del genere, quasi tutte le favole in versi di Čukovskij (nella mostra c’è una splendida Mucha-Cokutucha di V. Konaševič), i capolavori di Maršak; qui scrittore e illustratore fanno coppia fissa e nasce infatti una delle più affiatate collaborazioni artistiche (anche perché basata su una solida amicizia), quella tra Maršak e il re del libro per l’infanzia – Vladimir Lebedev.


Il messaggio è limpido: il bambino, soprattutto nei primissimi anni di età si nutre della parola come dell’immagine, i due linguaggi devono completarsi e fondersi, testo e illustrazione sono in rapporto di scontro o intesa, ma soltanto dalla loro unità scaturisce il significato finale. Lo stile di Lebedev è una sintesi di suprematismo e costruttivismo, di astrazioni geometriche combinate a un perfetto tratto dei personaggi e a una padronanza assoluta dei colori; le figure hanno un andamento plastico e compositivo senza precedenti, ma soprattutto le sue opere hanno una sorta di brillante giocosità, un’immediatezza che i bambini colgono e apprezzano.

Scuola di umanità
Girovagando tra le sale della mostra si può così avere un ottimo assaggio della «rivoluzione nella Rivoluzione» – quello cioè che hanno rappresentato i primi vent’anni post-1917 nella letteratura per l’infanzia: un’esplosione cromatica, sonora, ritmica, fattuale dove il bambino è finalmente riconosciuto, rispettato e amato per quello che è e non come replica in piccolo dell’uomo che verrà; un mondo a sua misura in cui si parla di tecnologia, innovazioni, aritmetica, ma anche di natura, gioco, viaggio e fantasia, grazie all’ostinata scuola di ironia, lingua e immaginazione (in una parola: umanità) che propone la parola di K. Čukovskij, S. Maršak, B. Žitkov, L. Panteleev, E. Švarc e la linea di V.Lebedev, V. Konaševič, D. Mitrochin…

«Per i piccoli la felicità è la norma di vita, la condizione naturale dell’anima» osserva Čukovskij; i nomi che campeggiano sui muri e nelle teche della mostra sono quelli degli artisti che hanno cercato di mantenerla, questa norma, contro un’epoca che stava per diventare un’eterna notte di velluto nero. Il loro compito, o vocazione, è di risvegliare nell’anima del bambino la capacità di entrare in empatia, di sim-patizzare, di gioire e soffrire per l’Altro in modo incondizionato, qualità senza le quali un essere umano, a qualunque età, non può dirsi tale.
Nel 1917 come nel 2016.


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