Così, dopo il decreto di Lenin, il comune di Mosca, il Mossovet, elaborò una base normativa per le future cooperative edilizie e nel giro di due anni venne fondata la cooperativa Sokol. Vi confluirono persone abbastanza abbienti, i cottage progettati, infatti, costavano e bisognava anticipare un consistente capitale per quei tempi di guerra civile. La superficie abitativa era assicurata per 35 anni e lo Stato si impegnava a non requisire né a inserire nuovi inquilini (il famigerato "uplotnenie", lo "stretti-tutti!" che portava alla coabitazione e alle komunalki). Promesse risultate poi vane perché già negli anni Trenta furono requiste case e imposte coabitazioni anche a Sokol.
I primi partecipanti alla cooperativa furono funzionari di partito, scienziati e artisti. L'idea era quella di creare un complesso abitativo sperimentale, una sorta di comunità che avrebbe dovuto servire da modello per altri microquartieri giardino da costruire per tutta Mosca. Le case dovevano essere mono o al massimo bifamiliari, bisognava garantire un'ampia superficie verde, e, ad esempio, non erano permesse le staccionate che schermavano completamente la visuale. Ci lavorarono architetti importanti come A. Šusev, grafici come V. Favorskij, pittori come K. Istomin o P. Končalovskij, perfino uno scultore ci mise lo zampino, I. Efimov. L'idea era di lasciare molta libertà all'estro individuale ma sempre con un occhio all'insieme, perché la relazione tra unità abitativa e insieme doveva essere un valore importante. Idee ardite che risalivano alla filosofia di Pavel Florenskij (di cui Favorskij era amico e sodale) vennero messe in pratica, cercando strani effetti di prospettiva e visuali insolite: la via Polenov, ad esempio, la più ampia del villaggio, passava dalla piazza principale per poi spezzarsi in un angolo a 45°, quasi a dare l'impressione di essere infinita. Come se lo spazio di quel piccolo territorio (20 ettari) potesse essere illusoriamente dilatato fino a creare un piccolo, armonico universo a se stante. Si cominciò a costruire nel 1923 e per il 1926 c'erano già 102 villette in legno. Tuttora Sokol rappresenta un monumento, unico in una metropoli come Mosca, all'architettura in legno. Si era progettato di costruire 320 case, ma ne furono realizzate solo al metà perché negli anni Trenta il trend cambia e molta della terra data alla cooperativa viene requisita per costruire palazzoni.All'inizio i nomi delle vie erano quasi sempre tecnici, di servizio: la via grande, via della scuola, via del telefono, via della mensa: a me sarebbe molto piaciuto abitare in via ujutnaja, la via confortevole. Solo in seguito si decise di dare alle strade il nome di artisti. E della toponomastica si occupò il professore del VChUTEMAS P. Pavlinov, un grafico. Continua
Nessun commento:
Posta un commento