giovedì 26 agosto 2010

I tatari e l'Islam

Mi ricordavo che tempo fa ero stata a un interessante congresso a Peccioli e avevo sentito una conferenza sulla storia religiosa dei tatari.
Ci sarebbero tante cose da dire: sui mercanti per esempio, i kupcy, molti dei quali erano tatari o di origine tatara che non sono propriamente mercanti, forse sarebbe meglio dire imprenditori. Nell'Ottocento russo sono stati un ceto (con le sue gerarchie articolate quasi come quelle nobiliari) che ha avuto una funzione importante nella vita sociale del paese. Alla fine del secolo sono stati poi protagonisti del grande balzo capitalistico che ha anche permesso, tra l'altro, l'eccezionale fioritura culturale del primo Novecento. Ma sto divagando. Ho trovato l'articolo alla base di quella conferenza in un pdf della rivista "Religioni e società" disponibile online. Copio qui un  brano che può far riflettere su come gli stereotipi sull'Islam e tutta la nostra diffidenza si fondino sull'ignoranza. E' stato scritto nel 2003, ma non è cambiato niente.
"Ibragim Chalfin (1778-1826), dopo aver composto dizionari etimologici e lessicali, scrisse 
una memoria, Immaginazione curiosa per l’illuminazione dei tatari, in cui racco- 
mandava di mandare gli studenti fra i tatari come illuministi. Era convinto che solo 
un’istruzione laica avrebbe liberato i tatari dalle catene medievali. Un altro profes- 
sore associato presso l’Università come Hussain Fajezchanov (1821-1866), lavorava 
nel campo linguistico e della storia del popolo tataro e insegnava l’arabo e il turco 
all’università. Scrisse fra l’altro una Grammatica breve della lingua tatara. Anche lui 
era un fervido sostenitore dell’istruzione laica. Purtroppo, la sezione orientale del- 
l’Università di Kazan nel 1855 fu trasferita a San Pietroburgo, dove si trasferì anche 
Fajezchanov. Il colpo fu grave, ma i semi erano stati gettati e presto germogliarono 
e dettero frutti copiosi. Il nuovo metodo, che consisteva nell’apprendimento dei 
princìpi e dei successi della cultura occidentale, spesso mediata da quella russa, era 
già nato nella pratica. Si trattava solo di sistematizzarne i principi teorici. 
Toccò alla generazione successiva di illuministi tatari di elaborare la teoria del 
ysul dœadid(nuovo metodo) sulla base dei tentativi precedenti, a dire il vero assai 
timidi. Un’intera generazione di filosofi e letterati si impegnò nell’elaborazione del 
“dœadidismo”. Fra i filosofi primeggiano S. Mardœani (1818-1889), K. Nasyri (1825- 
1902), S. Kul’tjasi (1857-1930) e altri. 
Questi pensatori dovevano superare due diversi pericoli: il kalamismo (dalla pa- 
rola araba kalam che significa appunto parola, discorso, considerazione) e la dottri- 
na mistica del sufismo. Gli illuministi tatari criticavano la dottrina del kalam con- 
trapponendogli il razionalismo. S. Kul’tjasi scrisse: «Una dimostrazione inconfuta- 
bile della rovinosità per il popolo della via del kalam è l’innumerevole catena di 
disgrazie e impedimenti che si osserva al momento dell’apparizione dei “mutakalli- 
mun” (cioè i rappresentanti del kalam) e la diffusione dell’arte del Kalam». Mardœani 
fu ancora più chiaro, perché sostenne che se nella sharia si trovano posizioni che 
contraddicono a fatti fondanti scientificamente, allora «è meglio modificare la 
comprensione di questa posizione che mettersi sulla via della negazione di quello 
che è vero, evidente e fondato scientificamente». 
Oltre al pensiero di Mardœani già ricordato, ne esiste ancora uno molto bello e chia- 
ro. L’illuminista tataro scrive: «Il rifiuto di qualsiasi nuovo pensiero senza il chiarimen- 
to della sua essenza è una manifestazione di mancanza di pensiero e ignoranza». Nella 
sua critica alla teologia musulmana, Mardœani cercò di liberare la teologia dalla filosofia 
o quantomeno di distinguerne i campi specifici. Mardœani pensava che l’universo deri- 
va dall’essenza divina e che la natura non è altro che la sua manifestazione: sostanzial- 
mente giunge a una considerazione panteistica della divinità. In questo Mardœani si 
avvicinava molto alla concezione sufista, dalla quale tuttavia si distingueva, dal momen- 
to che non cadeva nel misticismo. Il panteismo di Mardœani era inoltre un modo per 
combattere la concezione del mondo dominante nell’ambiente in cui viveva. 
Queste idee furono sviluppate da Kul’tjasi, che arrivò a professare una dottrina 
deistica. Kul’tjasi, come Mardœani, criticava certe posizioni della dottrina ufficiale, pur 
riconoscendo la religione musulmana e i canoni della sharia. Per farlo egli criticava il 
filosofo Al Ghasali, cercando in questo modo di superare la scolastica medioevale30. 
L’atteggiamento razionalista degli illuministi tatari nel valutare i fenomeni sociali 
e nel criticare le impostazioni teologiche del passato, può essere testimoniato dalla 
richiesta di rinunciare al principio teologico islamico del cosiddetto taklid (cioè la 
cieca sottomissione). Kursavi fu il primo a sbeffeggiare coloro che si sottomettevano 
ciecamente. Mardœani, dal canto suo, fu assolutamente contrario al dogmatismo e 
alla cieca imitazione. Egli era anzi profondamente convinto che non dovessero esse- 
re posti limiti alla conoscenza umana e all’attività creativa: l’uomo doveva essere 
libero, sia nel pensiero che nelle azioni. Mardœani esprime questo pensiero, che non 
lascia adito a dubbi: «Il fatto che Avicenna fosse effettivamente un filosofo è confer- 
mato dalla ricerca del suo sistema filosofico. Esattamente come le nostre conoscenze 
sul Profeta ricevono il loro effettivo significato non dalla fede cieca nelle opinioni 
infondate di altri, ma da una ricerca multiforme della sua vita e delle sue opere»31. In 
sostanza, egli dice che Maometto è un uomo come tutti gli altri e che le sue azioni e 
i suoi scritti sono soggetti alle leggi della critica storica. /.../ 
Oggi, dopo le vicende dell’11 settembre, della guerra in Afganistan contro i talebani, dell’attentato a Bali e della vicenda del teatro di Mosca, in cui i ceceni sono stati fermati con un grosso numero di vittime, è possibile valutare l’importanza dei fermenti culturali introdotti 
dal dœadidismo nella vita tatara, a differenza delle lotte che hanno contrassegnato i 
rapporti russo-ceceni. La via tatara è chiara: l’intesa cristiano-islamica passa attraverso 
un rinnovamento dell’Islam in direzione opposta al fondamentalismo islamico.)" Renato Risaliti, La Formazione del dœadidismo nella Regione del Volga, "Religioni e società", 47, 2003. 






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