martedì 2 novembre 2010

Il bosco e l'usignolo. Levitan (prima parte)

Tra Čechov e Tolstoj si rischia di dimenticare un importante doppio anniversario: 150 anni dalla nascita e 110 dalla morte del pittore Isaak Levitan. Persino la Galleria Tredjakovskij a Mosca arriva in ritardo a celebrarlo e il 14 ottobre ha inaugurato la grandiosa mostra in suo onore (300 opere da tutto il mondo) un mese e mezzo dopo la data giusta (in agosto). Levitan è stato un grande paesaggista. La sua natura, il paesaggio russo, ma non solo, sono intrisi di uno sguardo partecipe e penetrante che dandole senso la trascende, la fa grande e universale e al tempo stesso intima, interiore. Le sue strade che serpeggiano tra i boschi sulle colline e non finiscono, le sue occhiate fulminee che contengono interi panorami sono una meditazione accorata e piena di domande sul senso della vita, sull'ansia di pace che l'andare, l'umano tribolare sempre sottende. Molti dei suoi quadripotrebbero servire da lieve, pudico commento ai racconti di Čechov: la strada (l'immagine qui sopra, Vladimirka per La steppa, ad esempio), la luce della luna, la predilezione per i crepuscoli. In russo zarja indica l'incerto confine tra la luce e il buio e tra il buio e la luce, dunque può voler dire tramonto o alba ed è questo un momento tra i preferiti anche di Čechov.

Per dare l'idea di quanto i due, oltre a essere amici fraterni, avessero anche uno sguardo e un metodo creativo comune, ecco questo aneddoto. Ancora negli anni Ottanta, il giovane Levitan chiacchierava con il suo amico Konstantin Korovin e parlavano del quadro di Perov, L'acchiappauccelli. Per quanto ammirassero il quadro del loro maestro, il bosco sembra loro un po' metallico. Bisognava dipingerlo diversamente: "l'usignolo non avrebbe dovuto notarsi, mentre il bosco avrebbe dovuto essere tale che tutti avrebbero dovuto capire che vi stava cantando un usignolo (dalle memorie di Korovin, Moskva 1987, p. 787).


La mostra rimane aperta fino a marzo 2011

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