Presentazione al tempio, Purificazione della Vergine, Candelora. In russo Сретение, Sretenie, dall'antico slavo: incontro. Tanti gli incontri ad animare questo episodio dal Vangelo di Luca (2, 22-35) celebrato dalla festa del 2 febbraio. Festa di luce, di anticipazione e di purificazione (come la contemporanea festa celtica di Imbolc, il giorno di Santa Brigida, l'acme dell'inverno, esattamente in mezzo tra il solstizio di inverno e l'equinozio di primavera).
Brodskij ha scritto una poesia dedicata per questa festa. Sretenie, 1972, dedicata ad Anna Achmatova. Anna come la profetessa di cui parla Luca. Lui Iosif, come il falegname che assiste in silenzio alla cerimonia. Il Silenzio custode del Verbo, ebbe a definire Giuseppe un altro poeta russo, Vjačeslav Ivanov. C'entra anche Pasternak in questa storia, perché forse primo input di questa e altre poesie a tema evangelico furono le conversazione del giovane Brodskij con Achmatova sulla poesia e i salmi, sulla poesia e il Vangelo. Punto di partenza, ma anche modello da superare, era sentito da entrambi proprio il Boris Pasternak delle poesie di Živago.
Sretenie/Nunc dimittis
(Per un'altra traduzione italiana I. Brodskij, Poesie, trad. di G. Buttafava, Adelphi, Milano 1986, pp. 22-27; il testo russo qui)
La prima volta che lei portò il Bambino
al tempio là si trovavano tra
chi vi soggiornava costantemente
la profetessa Anna e Simeone il santo.
E il vecchio prese il bimbo dalle braccia
di Maria; e stavano i tre quel mattino
intorno al bambino come labile cornice,
smarriti nell'ombra del tempio.
Il tempio li accerchiava, bosco impietrito.
Da sguardo d'uomo, da occhio di cielo,
la volta schermava, stendendosi in ombra spessa,
quel mattino il vecchio, Maria, la profetessa.
E, unico raggio casuale, sul capo
la luce sfiorava il Bambino; ma lui
ancor ignaro di tutto russacchiava nel sonno,
dormendo nelle braccia forti di Simeone.
A quel giusto era stato rivelato
che tenebra mortale non avrebbe visto,
prima d'aver visto il Figlio del Signore.
Ciò s'era compiuto. E il giusto disse: "Ora,
serbando la parola che fu data,
lascia, Signore, che il tuo servo vada
in pace, poiché, gli occhi miei il Fanciullo
hanno veduto: Tua emanazione e di luce
sorgente per le idolatre genti,
e gloria del tuo popolo Israele!".
Simeone tacque. Il silenzio li circondò.
L'eco solo di quelle parole, sfiorando le capriate,
vorticò ancora per qualche tempo,
sulle loro teste, frusciando leggera
sotto le volte del tempio come uccello
in grado di alzarsi in volo ma non di posarsi.
E si meravigliarono. Era il silenzio
non meno strano del discorso. Maria
turbata taceva. "Quelle parole..."
E il vecchio disse, volto a Maria:
"Colui che dorme nelle tue braccia
sarà rovina di alcuni, salvezza di altri,
segno di contraddizione e causa di divisione.
E la stessa spada, Maria, che
trafiggerà la sua carne, pure te
trapasserà l'anima. Ferita
la tua, che ti farà vedere profondo
nei cuori umani, qual occhio segreto".
Disse e all'uscita s'avviò. Appena
curva Maria, tutta ingobbita Anna
lo seguivano in silenzio con lo sguardo.
Andava, rimpicciolendo di corpo e di senso
per le due donne all'ombra delle colonne.
Quasi da quegli occhi sospinto, egli
andava in silenzio per il tempio deserto,
verso la macchia bianca della porta.
E la sua andatura era rigida, da vecchio.
Solo quando la voce di Anna sentì
risuonare trattenne un poco il passo,
ma non era lui che invocavano, Dio
già cominciava a lodare la profetessa.
S'avvicinava la porta. Fronte e veste
già il vento sfiorava, e imperativo nei timpani
scoppiò il rumore della vita oltre le mura.
Andava a morire. E non verso il chiasso della via,
spalancando la porta con le mani, avanzò,
ma verso il regno sordomuto della morte.
E andava per uno spazio senza consistenza,
sentiva che il tempo perdeva suono.
E l'immagine del Bambino con la luce intorno
al capino piumoso, sulla via della morte
dinnazi a sé portava l'anima sua,
lume acceso, in quella tenebra scura,
dove finora ancora nessuno
aveva potuto illuminarsi la strada.
Luceva il lume e la via s'allargava.
Lc 2, 22-35
Quando venne il tempo della purificazione secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era su di lui gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele”.
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima”.
Tra il 13 Dicembre, Santa Lucia, e il 2 Febbraio, la candelora, si compie tutto il ciclo della luce che, dopo la discesa pericolosa nel solstizio invernale, è ormai ritornata e prosegue vittoriosa. La presentazione al Tempio (uscita dal privato della casa ed ufficializzazione del nuovo nello spazio sacro) sancisce l'uscita dalla fase buia e prelude alla sua ascesa.
RispondiEliminaE' interessante notare come anche qui il mito si muove sugli opposti: il "vecchio" Simeone, appena presa coscienza della venuta del "nuovo", deve ritirarsi e morire. Sarà così anche per Giovanni Battista, al solstizio estivo, che dovrà prepararsi a declinare per far emergere il sole nuovo. C'è sempre una morte da affrontare se si vuol far spazio alla nuova vita. Anche il cristianesimo non può prescindere da questa profonda verità naturale e ciclica, presente in tutte le religioni antiche.