giovedì 17 marzo 2011

L'immagine del poeta. Anna Achmatova (II parte)

La poesia di Achmatova che ho postato il 15 marzo raccontava del celeberrimo ritratto di Al'tman e di come lei andasse ogni settimana alle sedute di posa. E' tutta pervasa di contrasti, è ossimorica nel midollo. Come se la poetessa/poeta fosse a un bivio, esistenziale e poetico. Il 1914 è un anno cruciale, dopo la pubblicazione di Četki (Rosario), è come se Achmatova cercasse una nuova voce e una nuova ipostasi, come se piano piano stesse iniziando a creare un nuovo mito di se stessa. Inizia così con l'abbandono del boschetto sacro della poesia (Carskoe Selo, Puškin?) e l'avvio di una nuova vita, calma, tranquilla, soprattutto semplice. Lasciata alle spalle la Musa del pianto (così in quegli stessi mesi la chiamava anche Cvetaeva), il lavoro è caro, amato (milyj), la stanchezza è leggera nel piccolo vicolo corto e innevato, al riparo delle mura protettrici di Santa Caterina. Anche le rose stanno semplicemente nella brocca della toilette, senza alcuna implicazione simbolica (o meglio simboleggiano l'assenza di implicazioni simboliche ;) ). E' proprio tipico di Achmatova iniziare in sordina, con un rassicurante tran tran, come succede nei più tradizionali film horror: il quadro idilliaco, la protagonista traffica tranquilla in casa, canticchia e poi arriva il mostro di turno. E qui il mostro dov'è?

L'inquietudine, all'inizio è leggera (i misteriosi giorni invernali), poi arriva in una similitudine, indiretta: sono le golette, non lei che penano e si struggono per il mare. Sono loro ad essere imprigionate nel ghiaccio. E, infatti, il tema della chiusura, della prigione rimane lievemente sullo sfondo. La stanza di Al'tman è simile a una gabbia e allora sembra che siano lei e il pittore-lucherino, siano le loro Muse amiche e parenti a stringersi l'una all'altro come i piccioni-golette inquieti. Vediamo la loro parentela, il loro trafficare nelle incursioni sul tetto. Questa è l'arte, questo è il lavoro delle loro Muse spensierate e innocenti: andare a vedere  neve, Neva e nuvole camminando pericolosamente sull'abisso mortale. Al'tman stesso ci è raccontato in termini ossimorici (anzi, l'ossimoro è accentuato e amplificato anche dalla figura del chiasmo): "E si lamentava allegro, e triste/ Della gioia sfumata parlava".
Un altro motivo d'allarme pervade tutta la poesia. Questo più chiaro, ma anch'esso prima annunciato leggermente e poi esploso esplicito: quello del doppio e dell'identità. All'inizio lei cerca (invano!) le proprie tracce sulla neve immacolata (usa qui un termine arcaico, il manto,che ha anche una valenza religiosa), poi con angoscia (trevoga, parola in questo periodo legata a Blok*) scruta il divenire del ritratto di settimana in settimana sempre più somigliante. Ma questa somiglianza è sempre più amara e strana (demoniaca? cfr. Il ritratto di Gogol'). La stranezza e l'amarezza sta nel fatto che quell'immagine sta per diventare "la sua nuova raffigurazione", non una copia di sé, ma un suo sé nuovo. 

* Nei primi mesi del 1914 Achmatova fa pervenire a Blok una copia di Četki con questa dedica: 
"От тебя приходила ко мне тревога
  И уменье писать стихи".
Da te mi è venuta l'angoscia
E l'arte di scrivere versi.
        

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