mercoledì 16 marzo 2011

Qualche dubbio sull'anno russo-italiano

Pubblico qui sotto un articolo uscito qualche giorno fa su "Avvenire" (10 marzo 2011). Mi era sfuggito, la segnalazione è del signor Enrico (grazie!). Lo so che è facile giudicare dalla propria poltrona. Ma anch'io avanzo qualche dubbio sull'organizzazione e sulla mancanza di un progetto pensato dei cosiddetti grandi eventi strombazzati dal ministero dei beni culturali. A ben guardare l'interminabile lista delle iniziative, si evince tanta improvvisazione (a tutt'oggi, anno trascorso per un quarto quasi, a volte manca la controparte italiana di molti eventi annunciati, altre gli eventi vengono gestiti - qui in Italia - da agenzie governative russe?!). Questa riflessione di Simoncelli sulla trascuratezza e la mancanza di senso storico mi trova concorde e completa quello che ho già detto qui. Un'occasione mancata?



SERVI DELLA GLEBA L’ ANNIVERSARIO DIMENTICATO
PAOLO SIMONCELLI

Il 2011 non finirà di stupire.


Malgrado sia iniziato, ancora annuncia programmi vieppiù di prestigio: ora, l’Anno della cultura russa in Italia, e della cultura italiana in Russia. Il 16 e 17 febbraio all’Università di Roma si è svolto un inaugurale dibattito sull’'attualità e le prospettive delle relazioni italorusse nel contesto europeo ed internazionale'. A seguire, la Presidenza del Consiglio si è prodotta in veri e propri fuochi d’artificio culturali, annunciando mega-eventi con la partecipazione di 50 istituzioni italiane, dai Ministeri degli esteri a quello dei beni culturali, da Regioni varie alla Compagnia Sud Cost Occidentale, al Museo delle maschere e del teatro ecc.


Dieci le sezioni dedicate dalla Presidenza del Consiglio agli 'eventi': Arte, Cinema, Musica, Danza, Teatro, Lingua e Letteratura, Spiritualità, Sport, Eccellenze italiane d’oggi, Regioni. Davvero di tutto; o quasi. Mentre così, con singolare inversione dei ruoli, l’Ateneo romano dedicava attenzione alle relazioni internazionali italorusse, e la Presidenza del Consiglio prospettava cultura e spettacolo a vasto raggio, restava inevasa la più semplice delle domande: perché questo interscambio, questo 'gemellaggio'? Inutile chiedere agli addetti ai lavori. Del resto tra le 10 citate sezioni fantasmagoriche non ne è ricompresa alcuna dedicata alla storia. Si dissolve così, estromessa dal circuito mondano, l’origine congiunta delle manifestazioni. Saremo dunque consapevolmente banali a ricordare che nel marzo del 1861 veniva proclamata da Vittorio Emanuele II l’Unità d’Italia e promulgata dallo zar Alessandro II la legge che aboliva in Russia la servitù della gleba.


C’è un’immagine tristemente metaforica delle dimenticanze, delle distrazioni, della nostrana sciatteria burocratica: la solitudine della splendida casamuseo di Pietro Canonica (1869-1959), nel cuore della romana Villa Borghese. Canonica ebbe successo fin da giovane, anziché tradizionalmente postumo e, straordinario scultore, 'ultimo classicista' di un periodo artistico troppo presto negletto, a coronamento di una vita artistica spesa in tutta Europa e in Medio Oriente, nel dicembre 1950 venne nominato senatore a vita da Luigi Einaudi. Busti, statue equestri, battaglie grandiose e monumenti all’alpino e al mulo ne evocano tradizioni 'risorgimentali' (già insite nella sua origine piemontese e sabaudista). Tra le molte case regnanti che se ne contesero l’opera, anche i Romanoff. Canonica soggiornò ripetutamente a Mosca tra il 1912 e il ’14 per lavorare al monumento equestre di Alessandro II e di Nicola Nicolajevic. Sopravvenuta la Rivoluzione d’ottobre, quel gruppo marmoreo fece la fine d’obbligo. Nella Sala-Russia della casa-museo di Canonica ne sono rimasti dei calchi, tra cui un bassorilievo straordinario di 7.80x2.48 metri dedicato proprio all’abolizione della servitù della gleba: contadini assorti in preghiera accanto agli aratri, famiglie raccolte a leggere…, un afflato magico che trasmette quasi fisicamente il senso di quella scossa sociale che sembra trapassare nel gesso dalle pagine di Tolstoj, anzi della famiglia Tolstoj: moglie e cognata, attente a registrare dai diretti protagonisti gli esiti socioreligiosi di quel momento. Una sala e un museo straordinario che non soffre mai dell’eccesso di affluenza di visitatori.


Immagine della nostra trascuratezza; di 'radici' ormai recise della nostra cultura spensieratamente ridotta a 'eventi'.

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