Interessante che alla domenica delle Palme, il giorno in cui si ricorda l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme la liturgia ambrosiana faccia leggere una prima lettura dolorosa come Isaia 53. Ascoltandola non ho potuto non pensare agli uomini braccati e scacciati di Lampedusa e al corpo senza vita di Arrigoni. Forse ci ha pensato anche il nostro Cardinale, parlando nella sua omelia in Duomo. Riporto 4 versetti (2-5) di Isaia e li sottolineo a modo mio.
"Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti"
Tutti evitiamo di guardare quello che non ci piace, è normale, come è normale cercare di attutire la coscienza che il destino di quei disperati c'entra in qualche modo anche con il nostro modo di vivere. E Tettamanzi, mi pare di capire, lo ha detto chiaro oggi, secondo quel che riporta il Corriere: "E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?"
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