Mercoledì sera 11 maggio Ljudmila Ulickaja ha dato il via al XXIV Salone del Libro di Torino. Il suo è stato un atto di memoria (la letteratura ai tempi sovietici stretta tra la censura e lo slancio appassionato dell'editoria clandestina del samizdat') che si è subito trasformato in una preoccupata riflessione sull'oggi e sul rischio di impoverimento della cultura di massa che livella al basso autori e lettori.
Ecco qui un brano dell'intervento pubblicato da "La stampa" dell'11 maggio.
LJUDMILA ULITSKAJA
Ljudmila Ulitskaja, scrittrice, sceneggiatrice e genetista russa, terrà la prolusione nella serata inaugurale a inviti (oggi alle 21 alle Ogr) del 24° Salone Internazionale del Libro di Torino, in programma da domani a lunedì nella consueta sede del Lingotto. In Italia la Ulitskaja ha pubblicato tra l’altro Sonja (E/O), Medea (Einaudi), Funeral party e La bugia delle donne (Frassinelli), Daniel Stein, traduttore (Bompiani). Anticipiamo in questa pagina un ampio stralcio del suo intervento.
Negli anni del potere sovietico l’elenco dei libri interdetti alla pubblicazione (a volte anche alla conservazione) era enorme. Non l’ho mai avuto fra le mani dal momento che veniva conservato negli antri segreti del Kgb. Presumibilmente, in questo elenco figuravano libri di contenuto antisovietico (ossia politici), religiosi e in parte opere letterarie che non si confacevano all’ideologia dominante e pervasiva. Tuttavia, l’intuizione dei cerberi dei servizi segreti spesso non li ingannava: durante le perquisizioni nelle case alcuni libri, soprattutto se incomprensibili o in lingua straniera, venivano sequestrati «per precauzione». A un mio conoscente durante una perquisizione furono sequestrati testi di Sigmund Freud in tedesco e, insieme a questi, anche alcuni testi del beato Marx.
Gli anni della mia giovinezza e della mia formazione come persona e lettore coincisero con il samizdat. Posso con buona approssimazione elencare i libri fabbricati dai miei amici e contemporanei che costituirono le mie letture negli anni 60, 70 e 80. Erano libri dattiloscritti su carta finissima, persino su carta da sigarette, riprodotti in microfilm, e spesso rimpiccioliti, o addirittura ricopiati a mano.
In casa mia c’erano una Bibbia e il Nuovo Testamento stampati prima della rivoluzione, appartenuti alla nonna, ma mi capitò un giorno di vedere un Vangelo ricopiato a mano. Fu impossibile comprarlo. Il primo Vangelo, un regalo per una mia amica, lo acquistai da un agente di dogana. Costui aveva a casa sua una mensola su cui teneva alcune decine di Vangeli stampati, con buona qualità, in Belgio (la casa editrice era La vita con Dio, se non mi sbaglio). Si trattava di Vangeli che sequestrava ai missionari che arrivavano in aeroporto e poi piazzava di persona dietro ingenti somme di denaro. In questo modo si compiva l’opera dei missionari, ma non così come era stata pianificata.
E dunque, cosa era proibito? Un immenso filone della poesia russa: da Nikolaj Gumilev, fucilato, Anna Achmatova, caduta in disgrazia, Osip Mandel’stam, scomparso nei lager, a Boris Pasternak e Josif Brodskij. Anche la prosa di Solženicyn, Šalamov, Evgenija Ginzburg, Venedikt Erofeev seguì la stessa via. Come pure innumerevoli articoli politici di autori russi, i libri di Milovan Gilas e Avtorchanov, le opere di Orwell che toccarono le corde più profonde del nostro animo, libri di antroposofia, le opere di Rudolf Steiner nelle orrende traduzioni di traduttori improvvisati, i mistici Gurdžiev, Uspenskij… La prima traduzione di Simone Weil apparve nel samizdat. Anche Chesterton uscì nelle edizioni del samizdat.
Naturalmente, i traduttori lavoravano gratuitamente, e le copie dattiloscritte erano eseguite da persone interessate a farlo. Alcuni anni fa a Berlino ho visto una mostra interamente dedicata al samizdat dell’Urss e dei paesi dell’Europa Orientale. Era un evento senza precedenti, la motivazione politica alla lettura.
Per il possesso e la diffusione di questi e altri libri il Codice penale prevedeva un periodo di reclusione fino a 7 anni. E ci furono realmente persone a cui vennero inflitte queste condanne. Non faccio parte di questa schiera di eroi e martiri della lettura, ma a suo tempo anch’io ne subii le conseguenze. Nel ’70 io e i miei amici fummo cacciati dal posto di lavoro per una copia dattiloscritta di un romanzo piuttosto innocuo e, per di più, assai mediocre dal punto di vista della qualità artistica. Nella Russia sovietica accanto al samizdat esisteva il tamizdat. Si trattava di libri in lingua russa stampati da case editrici straniere. Questi libri passavano la frontiera portati da amici nostri, diplomatici occidentali, semplici conoscenti stranieri che rischiavano di finire nei guai alla dogana sovietica, dai nostri musicisti che di tanto in tanto ottenevano permessi per tournée, e scienziati che venivano mandati a prendere parte a conferenze internazionali. La prima copia che ebbi in vita mia di quel grandissimo romanzo che è il Dottor Živago di Boris Pasternak, lo scandaloso Premio Nobel, era costituita da due volumetti delle Edizioni «Société d’Edition et d’Impression Mondiale» del 1959 e mi venne data da un’amica sposata con un italiano. Ed è all’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, in fin dei conti, che dobbiamo la pubblicazione di questo romanzo. Il primo libro di Nabokov, allora sconosciuto in Russia, il romanzo Il dono nelle edizioni Ardis, me lo diede uno studente canadese che nel 1964 frequentava l’Università a Mosca e in seguito venne espulso perché sospettato di spionaggio. A questo punto è doveroso ricordare con gratitudine gli straordinari coniugi Carl e Ellendea Proffer grazie ai quali potemmo conoscere molti scrittori russi che in epoca sovietica non potevano essere pubblicati.
Ognuno di questi libri passò attraverso migliaia di mani, consumandosi di borsa in borsa. È così che Dottor Živago non mi tornò più indietro, andato perso nelle sue peregrinazioni. Mentre Il dono, benché molto malandato, è ancora lì, sullo scaffale.
Grazie Ardis, grazie Feltrinelli.
Non c’è scrittore senza lettore. Lo scrittore, d’altro canto, non esiste senza l’editore, senza tutta quella macchina culturale indispensabile perché un libro veda la luce. La trasformazione in scrittore di una persona che scrive ciò che gli passa per la mente si realizza grazie all’impegno di tutta una serie di professionisti, dai primi lettori-recensori ai librai, e, naturalmente, grazie all’attenzione dei lettori.
Ma su questa via si presenta una grande tentazione: lo scrittore, come l’editore, ha bisogno di successo. Lo scrittore, forse, più che al successo commerciale, anela all’amore del lettore, vuole piacere a quante più persone possibili, e per questo motivo propende per soluzioni semplicistiche e fa dell’autocensura. La letteratura di massa di bassissimo livello spesso è prodotta non da persone incapaci, ma da professionisti e scrittori di talento che, nel tentativo di compiacere il lettore, si abbassano al livello di un pubblico che si accontenta di poco. In questo modo s’inizia un processo di reciproco impoverimento: il gusto poco esigente del lettore genera testi di contenuto sempre più scadente. E questa spirale non ha fine. Lasciamo da parte la componente commerciale di questo processo.
Sotto i nostri occhi sta avvenendo un processo molto intenso mai visto prima in cui la cultura tradizionale è soppiantata dalle nuove tecnologie. Ovviamente, le tecnologie stesse costituiscono anch’esse il prodotto di una cultura. Ma quanto vorrei che, unendo i nostri sforzi, si possa preservare quella componente della cultura incentrata sull’uomo, al servizio della quale ci poniamo tutti noi qui presenti, senza grandi speranze di successo. Non sono nemica del progresso, nella mia borsa da viaggio c’è l’iPad che è in grado di contenere una biblioteca straordinaria e addirittura simula il gesto dello sfogliare le pagine. Ma oggi qui si ritrovano persone che provano un sottile piacere dei sensi nello sfiorare con il dito la pagina di un libro, inebriati dall’odore dell’inchiostro tipografico, persone per le quali l’anatomia del libro - la rilegatura, il dorso, la raffilatura delle pagine, la dimensione dei margini e i caratteri - conta tanto quanto il contenuto. Io plaudo a questo tipo di persone a cui io stessa appartengo per educazione, età e abitudini.
Oggi possiamo gioire dei libri veri che per il momento ci circondano.
Traduzione di Laura Chiadò
Negli anni del potere sovietico l’elenco dei libri interdetti alla pubblicazione (a volte anche alla conservazione) era enorme. Non l’ho mai avuto fra le mani dal momento che veniva conservato negli antri segreti del Kgb. Presumibilmente, in questo elenco figuravano libri di contenuto antisovietico (ossia politici), religiosi e in parte opere letterarie che non si confacevano all’ideologia dominante e pervasiva. Tuttavia, l’intuizione dei cerberi dei servizi segreti spesso non li ingannava: durante le perquisizioni nelle case alcuni libri, soprattutto se incomprensibili o in lingua straniera, venivano sequestrati «per precauzione». A un mio conoscente durante una perquisizione furono sequestrati testi di Sigmund Freud in tedesco e, insieme a questi, anche alcuni testi del beato Marx.
Gli anni della mia giovinezza e della mia formazione come persona e lettore coincisero con il samizdat. Posso con buona approssimazione elencare i libri fabbricati dai miei amici e contemporanei che costituirono le mie letture negli anni 60, 70 e 80. Erano libri dattiloscritti su carta finissima, persino su carta da sigarette, riprodotti in microfilm, e spesso rimpiccioliti, o addirittura ricopiati a mano.
In casa mia c’erano una Bibbia e il Nuovo Testamento stampati prima della rivoluzione, appartenuti alla nonna, ma mi capitò un giorno di vedere un Vangelo ricopiato a mano. Fu impossibile comprarlo. Il primo Vangelo, un regalo per una mia amica, lo acquistai da un agente di dogana. Costui aveva a casa sua una mensola su cui teneva alcune decine di Vangeli stampati, con buona qualità, in Belgio (la casa editrice era La vita con Dio, se non mi sbaglio). Si trattava di Vangeli che sequestrava ai missionari che arrivavano in aeroporto e poi piazzava di persona dietro ingenti somme di denaro. In questo modo si compiva l’opera dei missionari, ma non così come era stata pianificata.
E dunque, cosa era proibito? Un immenso filone della poesia russa: da Nikolaj Gumilev, fucilato, Anna Achmatova, caduta in disgrazia, Osip Mandel’stam, scomparso nei lager, a Boris Pasternak e Josif Brodskij. Anche la prosa di Solženicyn, Šalamov, Evgenija Ginzburg, Venedikt Erofeev seguì la stessa via. Come pure innumerevoli articoli politici di autori russi, i libri di Milovan Gilas e Avtorchanov, le opere di Orwell che toccarono le corde più profonde del nostro animo, libri di antroposofia, le opere di Rudolf Steiner nelle orrende traduzioni di traduttori improvvisati, i mistici Gurdžiev, Uspenskij… La prima traduzione di Simone Weil apparve nel samizdat. Anche Chesterton uscì nelle edizioni del samizdat.
Naturalmente, i traduttori lavoravano gratuitamente, e le copie dattiloscritte erano eseguite da persone interessate a farlo. Alcuni anni fa a Berlino ho visto una mostra interamente dedicata al samizdat dell’Urss e dei paesi dell’Europa Orientale. Era un evento senza precedenti, la motivazione politica alla lettura.
Per il possesso e la diffusione di questi e altri libri il Codice penale prevedeva un periodo di reclusione fino a 7 anni. E ci furono realmente persone a cui vennero inflitte queste condanne. Non faccio parte di questa schiera di eroi e martiri della lettura, ma a suo tempo anch’io ne subii le conseguenze. Nel ’70 io e i miei amici fummo cacciati dal posto di lavoro per una copia dattiloscritta di un romanzo piuttosto innocuo e, per di più, assai mediocre dal punto di vista della qualità artistica. Nella Russia sovietica accanto al samizdat esisteva il tamizdat. Si trattava di libri in lingua russa stampati da case editrici straniere. Questi libri passavano la frontiera portati da amici nostri, diplomatici occidentali, semplici conoscenti stranieri che rischiavano di finire nei guai alla dogana sovietica, dai nostri musicisti che di tanto in tanto ottenevano permessi per tournée, e scienziati che venivano mandati a prendere parte a conferenze internazionali. La prima copia che ebbi in vita mia di quel grandissimo romanzo che è il Dottor Živago di Boris Pasternak, lo scandaloso Premio Nobel, era costituita da due volumetti delle Edizioni «Société d’Edition et d’Impression Mondiale» del 1959 e mi venne data da un’amica sposata con un italiano. Ed è all’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, in fin dei conti, che dobbiamo la pubblicazione di questo romanzo. Il primo libro di Nabokov, allora sconosciuto in Russia, il romanzo Il dono nelle edizioni Ardis, me lo diede uno studente canadese che nel 1964 frequentava l’Università a Mosca e in seguito venne espulso perché sospettato di spionaggio. A questo punto è doveroso ricordare con gratitudine gli straordinari coniugi Carl e Ellendea Proffer grazie ai quali potemmo conoscere molti scrittori russi che in epoca sovietica non potevano essere pubblicati.
Ognuno di questi libri passò attraverso migliaia di mani, consumandosi di borsa in borsa. È così che Dottor Živago non mi tornò più indietro, andato perso nelle sue peregrinazioni. Mentre Il dono, benché molto malandato, è ancora lì, sullo scaffale.
Grazie Ardis, grazie Feltrinelli.
Non c’è scrittore senza lettore. Lo scrittore, d’altro canto, non esiste senza l’editore, senza tutta quella macchina culturale indispensabile perché un libro veda la luce. La trasformazione in scrittore di una persona che scrive ciò che gli passa per la mente si realizza grazie all’impegno di tutta una serie di professionisti, dai primi lettori-recensori ai librai, e, naturalmente, grazie all’attenzione dei lettori.
Ma su questa via si presenta una grande tentazione: lo scrittore, come l’editore, ha bisogno di successo. Lo scrittore, forse, più che al successo commerciale, anela all’amore del lettore, vuole piacere a quante più persone possibili, e per questo motivo propende per soluzioni semplicistiche e fa dell’autocensura. La letteratura di massa di bassissimo livello spesso è prodotta non da persone incapaci, ma da professionisti e scrittori di talento che, nel tentativo di compiacere il lettore, si abbassano al livello di un pubblico che si accontenta di poco. In questo modo s’inizia un processo di reciproco impoverimento: il gusto poco esigente del lettore genera testi di contenuto sempre più scadente. E questa spirale non ha fine. Lasciamo da parte la componente commerciale di questo processo.
Sotto i nostri occhi sta avvenendo un processo molto intenso mai visto prima in cui la cultura tradizionale è soppiantata dalle nuove tecnologie. Ovviamente, le tecnologie stesse costituiscono anch’esse il prodotto di una cultura. Ma quanto vorrei che, unendo i nostri sforzi, si possa preservare quella componente della cultura incentrata sull’uomo, al servizio della quale ci poniamo tutti noi qui presenti, senza grandi speranze di successo. Non sono nemica del progresso, nella mia borsa da viaggio c’è l’iPad che è in grado di contenere una biblioteca straordinaria e addirittura simula il gesto dello sfogliare le pagine. Ma oggi qui si ritrovano persone che provano un sottile piacere dei sensi nello sfiorare con il dito la pagina di un libro, inebriati dall’odore dell’inchiostro tipografico, persone per le quali l’anatomia del libro - la rilegatura, il dorso, la raffilatura delle pagine, la dimensione dei margini e i caratteri - conta tanto quanto il contenuto. Io plaudo a questo tipo di persone a cui io stessa appartengo per educazione, età e abitudini.
Oggi possiamo gioire dei libri veri che per il momento ci circondano.
Traduzione di Laura Chiadò
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