venerdì 8 luglio 2011

Il viaggio e la casa

Il mese scorso, avendo un volo lungo da fare, mi sono messa nel computer Tempo di viaggio di Andrej Tarkovskij e Tonino Guerra. E questo film sul viaggio che io stavo guardando viaggiando iniziava con una poesia di Tonino Guerra sulla casa, scritta in dialetto (un concentrato di qui) per Andrej la notte prima. Una specie di concentrato di antiviaggio assoluto. La casa. Cosa sei, casa? Cappotto od ombrello? dice Guerra con la complicata e disarmante semplicità del dialetto, avvertendo quel punto fermo nella ricerca e nei vertigiosi viaggi fuori e dentro di sé di Tarkovskij.


Non è certo una pappardella sentimentale questa fissazione sulla casa. Lo sento come un programma di vita, una proposta pedagogica perfino, per sé, per i figli, o in genere per gli altri che ci sono stati affidati, in un modo nell'altro.
Il film è uscito nel 1983 e racconta di un viaggio per l'Italia del sud alla ricerca di luoghi e ispirazione per Nostalgia.
Andrej è scontento, perfino ad Amalfi è insoddisfatto: troppo balneare. A Lecce trova la bellezza soverchia e opprimente (e questa è una sensazione che angustia anche l'eroe di Nostalgia e dovrebbe far pensare noi italiani che siamo tanto assuefatti a tanta bellezza intorno a noi da profanarla continuamente).
Ma Tonino non si dà per vinto e insiste sul barocco leccese, in particolare: l'ornamento mai gratuito nasce sulla semplicità, è sovrabbondante solo in alcuni punti, e a quanto pare non nasce dall'orrore per il vuoto.
In una chiesa leccese un sacerdote mostra l'albero della vita e racconta che ogni cultura assume da altre culture e per questo è possibile un dialogo senza steccati. Questo caposaldo biblico (così dice il prete improvvisatosi cicerone) è stato ripreso dal Concilio. E lì mi è venuto in mente che allora, negli anni Ottanta, il Concilio (e non c'era bisogno di specificare Vaticano II) veniva continuamente tirato fuori, era una presenza costante nei discorsi dei preti. Evidentemente lo stavano ancora rimuginando. E adesso?
In un altro momento del film, sfogliando l'album con riproduzioni della Madonna del Parto, i due amici notano che nell'originale non c'è tutto quel rosso. Tonino dice di non credere alla riproduzioni dei quadri come non crede alle traduzioni delle poesie, l'arte è gelosa, bisogna andare a trovarla a casa sua. Di nuovo la casa, il qui. Ma è vero che un grande amore per la lingua può diventare un modo di farsi casa. Lo dico come speranza, in realtà, e non sicurezza. Alcuni grandi ci riescono, per lo meno.
Parlano dei registi del passato, dei debiti di riconoscenza. Tarkovskij ne cita vari e si ferma su Jean Vigo come esempio di semplicità e ascetismo. Lo stesso che in pittura egli trova in Leonardo, in musica Bach e in letteratura Tolstoj (Andrej si ferma dicendo questo, fa una pausa e aggiunge in italiano: "per me, Tolstoj"! Interessante, deve specificare: sa che non tutti sarebbero d'accordo, soprattutto nella tradizione da cui proviene, di dostoevskijani doc!).
Dopo il debito con il passato, Tonino attacca con il lascito al futuro e chiede ad Andrej un consiglio per i giovani registi. Tarkovskij risponde con un appello che non vale solo per i registi: non separare mai il proprio lavoro, la propria creazione dalla vita. Ciò significa che qualsiasi cosa si faccia ha un risvolto morale che va ben tenuto presente. E non è un predicozzo. Ne sono la prova il volto sofferto e lo sguardo concentrato di Andrej (oltre le sue vicende biografiche di quel tempo, moglie e figlio tenuti ancora in ostaggio in Unione sovietica). "Il cinema, l'arte esige sacrificio, tu devi appartenere a lui e non lui a te. Il cinema ti usa e non il contrario" (29° minuto).
Per questo Tarkovskij è insofferente quando gli parlano di cinema di genere e, dunque, di cinema commerciale. La riflessione sul genere oggi è tanto di moda, tanto al cinema quanto in letteratura. Il genere è una grande possibilità, penso a Dostoevskij interessato a Poe e alle sue incursioni nel "giallo" o all'uso della fantascienza da Bradbury a Philip K. Dick; Bachtin scriveva che il genere è la cinghia di trasmissione con il tempo, l'inserimento in un discorso già iniziato. Ma Tarkovskij sente tutto ciò come un laccio o un cliché ed è severo anche con il suo Solaris che giudica impigliato nelle secche del genere (cosa che invece Stalker avrebbe superato).
Nella severità di Andrej sento un rigoroso monito morale, forse ci sembra un programma troppo rigido, il genere blandisce ma può dire tanto. Tuttavia di questi tempi è proprio quello che ci vuole, una lezione di rigore e coerenza scevra da compromessi.


3 commenti:

  1. oggi di spiritualità non parla più nessuno. Negli anni dai '60 agli '80 si faceva magari una gran confusione (dall'India dei Beatles fino alla new age più recente), ma era un argomento ben presente.
    Oggi Tarkovskij si troverebbe malissimo, l'unica vera religione è il Telefonino, e la formula uno, e poco altro.
    Questo film come sai mi piace molto, tra l'altro penso che in tv non sia mai passato...

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  2. Nonostante tutto, qualche segnale di rinascita si intravede e a Milano c'è stata da poco una bellissima rassegna su Tarkovskij che ha permesso di rivisitare tutte le sue opere ed anche questo straordinario "Tempo di viaggio".
    Si tratta di un vero pellegrinaggio e di una ricerca in terra d'esilio. Non a caso proprio Tonino Guerra accomuna l'opera di Tarkovskij alla "Divina commedia": il tema archetipico del viaggio come iniziazione e ricerca di sé stessi, nostalgia delle origini e rimando al trascendente...

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  3. Cari Marisa e Giuliano, non so come dire, sono colpita, onorata, incuriosita e altro ancora al vedere i vostri due commenti, uno dietro l'altro e di segno opposto. Di entrambi vedo le ragioni. Marisa, è la seconda volta in pochi giorni che parli di rinascita e apertura. Se lo dice tu che hai le antenne aguzze dovremmo crederci, non pensi Giuliano?
    La rassegna milanese su Tarkovskij, invece, me la sono persa. Peccato, perché Gornung, amico del padre di Tarkovskij, e autore delle foto all'origine dello Specchio era un allievo di Gustav Špet, era uno dei giovani dell'Accademia Statale delle Scienze Artistiche (GAChN). Insomma, le cose che studio da anni. Micheluzza dove sei?

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