sabato 19 novembre 2011

L'accordo CRUI e Confindustria

Qualche giorno fa la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) ha siglato un accordo con Confindustria. Otto mosse (anzi no! "otto azioni MISURABILI") per rilanciare l'università e promuoverne l'impatto sul mondo del lavoro.
Non è certo una novità: ogni tanto arrivano questi protocolli, puntuali a rilanciare la solita profusione delle solite parole, governance, mobilità, internazionalizzazione ecc. In questo, tuttavia, colgo un tono nuovo. Prima Confindustria promuoveva borse, offriva incentivi, si impegnava nella creazione di progetti di ricerca o di laboratori finanziati da capitali pubblici e privati. Ora sembra intervenire nel cuore dei meccanismi che regolano il mondo accademico. Non come un organismo esterno che legittimamente si relaziona a un altro organismo, ma quasi dall'interno essa prova a dire la sua su questioni che mai prima d'ora l'Università aveva delegato al suo esterno.  Il primo punto, ad esempio, (ed è interessante che sia il I punto, se fosse una poesia direi agli studenti, guardate, attenzione, è in posizione forte!) si intitola "Orientamento verso le lauree tecnico-scientifiche". Certo, sono punta nel vivo, sono probabilmente esponente di una vetusta lobby di umanisti ammuffiti e obsoleti, ma mi fa specie che in modo automatico si consideri interesse nazionale quello che è (naturalmente e giustamente) interesse di Confindustria. Senza un dibattito, come fosse un assioma.
Confindustria vuole osservare ben da vicino il mondo accademico, anzi monitorarlo. Sarà ancora una questione di parole, ma mi disturba il fatto che monitoraggio (della riforma, della governance, del RECLUTAMENTO) ricorra tanto nelle nove paginette del documento. Perché la Confindustria dovrebbe monitorare il mondo accademico e non viceversa allora? Di quale tutela stiamo parlando? Del denaro sul sapere?Non sarebbe meglio l'inverso? 
E a proposito del delicato problema del reclutamento riporto sotto quello che scrivono rettori e industriali. Com'è che l'Università ha bisogno della "collaborazione" (sarà un eufemismo?) della Confindustria per determinare la qualità dei suoi ricercatori e dei suoi docenti? La comunità dei docenti non ha i mezzi scientifici e intellettuali per farlo? In una situazione normale è l'università che presta alla società il suo sapere e il suo know-how. Ah già, dimenticavo: la riforma Gelmini ha escluso i ricercatori e i professori associati dal meccanismo del reclutamento e quindi i poveri ordinari sono in pochi, sono soli (e perfino troppo anziani) e non ce la fanno a portare a compimento questo gravoso compito. Ma d'altra parte si tratta solo di  MISURARE, ormai esistono gli indici bibliometrici, è tutto meccanicizzato, potrebbero benissimo cavarsela da soli...

Ecco il VI punto del documento
"6. Monitoraggio della Riforma: reclutamento 
 Obiettivo: anche in considerazione del fatto che nei prossimi anni si realizzerà un notevole ricambio del corpo docente delle Università italiane, innescare un processo di miglioramento dell’Università e offrire all’ANVUR collaborazione per individuare metodi di riconoscimento della qualità dei ricercatori e dei docenti.  
 Strumento: 
- Monitorare gli effetti sui singoli Atenei del salto di qualità che verrà innescato nel processo valutativo dai nuovi criteri per l’abilitazione scientifica adottati dall’ANVUR e dalle politiche di reclutamento."
 La sottolineatura è mia. L'ANVUR per i fortunati che non lo sapessero è la nuova agenzia di valutazione creata dalla riforma Gelmini.
E con questo non vuol dire che sia contraria a forme di collaborazione, intesa, progettazione combinata, anzi...

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