martedì 13 novembre 2012

Da una lettera a una studentessa del primo anno


Un OUTING sugli esami. Una lettera a una studentessa del primo anno che mi chiede come prepararsi agli esami

Cara ***,
prima di tutto dimentichi la parola PARAFRASI.

Avrà notato che non faccio niente che le assomiglia seppur vagamente. La poesia non si parafrasa, perché è parola necessaria, quella parola lì e non altre. Non si può dire con altre parole. Quello che si fa a scuola potrà essere una necessità didattica (spiegare quello che vorrebbe dire il poeta) ma non ne sono molto convinta. Credo appunto che spesso a scuola si uccida la poesia, anzi no, si faccia semplicemente altro.

Grazie a Dio noi non siamo a scuola, ma all'università.
Io leggo, traduco per cercare di farvi arrivare un'eco lontana del testo russo, contestualizzo (la Storia, la Storia è importantissima per leggere la poesia) per cercare di mettervi in una posizione più vicina possibile ai lettori a cui si rivolgeva Puškin. Poi la lettura della poesia è affare vostro. Qui finisce il mio compito. Va be', a me toccherà verificare che l'abbiate letta all'esame: trascurabile dettaglio. Non lo dico per vezzo, ma per convinzione: faremo anche questo, ma in modo leggero (non meno rigoroso).
Mi dicono che all'esame sono lunga, lenta. Lo faccio deliberatamente. Non perché abbia bisogno di tanti elementi per emettere quel verdetto così arbitrario, ma perché mi piacerebbe che l'esame sia un momento di confronto (feedback?) per voi, ma soprattutto per me. I suoi colleghi "più vecchi" avranno notato che spesso parlo più io agli esami che il povero esaminando. Questo dovrebbe farvi capire che per me l'esame non è solo un'interrogazione, ma, se foste meno concentrati sul voto, un'occasione per imparare. Lo so, è un'utopia ma continuo così.
Quindi per riassumere concretamente:
niente parafrasi, niente poesie a memoria. O meglio mai chiederò che ripetiate dei versi a pappagallo, ma se leggendo, cioè immergendovi, ripetendo, una poesia, vi venisse voglia di impararla in russo, sarà bello fare risuonare in voi  i versi e sarà utile per imparare la lingua. Ma anche questo è affar vostro. Di solito non chiedo mai analisi di poesie precise, sarete voi a parlarne se lo ritenete opportuno nel vostro discorso. Ma se mi accorgo che non avete letto qualcosa incluso nel programma, l'esame finisce lì.

...

Le foto le ho fatte al Castello Estense di Ferrara, sono i disegni dell'australiano Jeremy Ville.

2 commenti:

  1. Leggendo la parte del post relativa alla parafrasi sono un po' arrossito :) Ma sì, io penso che abbia ragione! Solo che ho sempre paura di non riuscire a cogliere il messaggio della poesia se già non ho accesso alla sua parte beceramente denotativa. Perché c'è una parte beceramente denotativa, magari certamente inscindibile da tutto il resto (espressa solo da "quella parola lì e non altre"), ma c'è. Penso: se manca quella comprensione non posso certo ambire a comprendere tutto il resto. E la parafrasi (più in generale: la traduzione) mi sembra solo uno strumento per "setacciare" il messaggio poetico e accertarsi di avere chiara prima di tutto quella parte beceramente denotativa, quando c'è. Leggo: "e quindi uscimmo a rivedere le stelle", parafraso "e di lì uscimmo a riveder le stelle", comprendo che quel "quindi" non ha valore temporale o consecutivo ma si riferisce al "pertugio tondo" del verso precedente e poi ritorno a leggere "e quindi uscimmo a riveder le stelle" e quel "quindi" è potenziato e assume il suo giusto peso. Insomma, forse basterebbe tenere sempre presente che la traduzione non è la poesia e che alla poesia si dovrebbe sempre tornare. Ma come strumento la traduzione aiuta comunque a ragionare sul messaggio poetico e a coglierne almeno una parte. Che non è un cattivo risultato, almeno per quelli che come me non vedono e non sentono, vivono in questo mondo come nelle tenebre e per i quali certo i soli non respirano, né c'è vita nelle onde marine - giusto per usare una parafrasi! ;)
    A proposito, sono ancora perso nei meandri della letteratura italiana ma ancora in vita (mi pare): presto le riporterò i suoi libri!
    Saluti cari!
    Rodolfo

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  2. Lieta e un po' invidiosa di saperla perso a scrutare nei pertugi tondi da cui prima o poi si RI-vedono le stelle, Rodolfo! E grazie perché mi aiuta con intelligenza a riflettere. Ha ragione. Ma quella becera comprensione, come dice lei, non è la parafrasi precotta che studenti e professori spesso si scambiano in uno strano ping pong autoattorto. Certo che abbiamo bisogno di capire la lettera, di tradurre dentro di noi. Ma questo, credo, è un esercizio da fare in modo delicato, con la consapevolezza dell'approssimazione e del fatto che non è mai definitivo e concluso. Per questo ho scritto che questo non è affare mio, è un lavoro che ognuno deve farsi da solo. Io posso fornire qualche utensile ma il manufatto che se lo faccia ognuno per conto suo. Quale tutela potrei dare a dei giovani adulti di fronte alla poesia (e qui ci metto anche la grande prosa d'arte)? Come posso spiegando non incasellare e non creare un prodotto digeribile e precotto? Preferisco dire meno che troppo, lavorare cauta, non spegnere il lucignolo fumigante, buttare piccoli fragili semini al vento con il rischio che vadano sulla pietra piuttosto che trapiantare alberelli esotici in terreni non adatti. Sono stata anch'io studente e so di non aver colto tanti semi che mi volavano attorno (per vari motivi, disattenzione, insensibilità, non disponibilità in quel momento, incapacità) ma qualche piantina mi germoglia ancora dentro dagli anni dell'università. E per quella il gioco è valso la candela.

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