domenica 3 febbraio 2013

Il lupo e le prigioni della steppa (parte prima)

Dalla mia introduzione al libro di Limonov
 
Nella cittadina di Saint-Claude, dalla massiccia villa di via Parc Montretout 8 si domina ancora tutta Parigi, proprio come dalle Colline dei Passeri Napoleone aveva con un colpo d'occhio supervisionato il Cremlino. In quel sobborgo parigino, nei primi anni Novanta, Eduard Limonov fece assaporare l'affabile ospitalità di Jean-Marie Le Pen al suo temporaneo alleato Vladimir Žirinovskij, che in Russia aveva da poco fondato un partito populista e sciovinista.
Recentemente interrogato da Axel Gyldén su quella bella riunione di "bad boys", Eduard Limonov non è per nulla imbarazzato, come non si preoccupa di rispondere nella sostanza ai legittimi dubbi del giornalista di "L'Express" riguardo all'opportunità di accompagnarsi a quegli allegri fautori dell'antisemitismo o all'incongrua mescolanza di bolscevismo e nazismo nel nome e nei simboli del partito nazionalbolscevico da lui fondato (e da Putin messo fuorilegge nel 2007).
O meglio, la sua risposta è di tutt'altra sostanza, si muove tutt'altro piano, evitando in modo programmatico le questioni "noiose" del politicamente corretto, quei trascurabili dettagli che possono appassionare solo uomini e donne che hanno costruito la propria appartenenza nazionale e la propria coscienza civica sulla memoria e la responsabilità storica.
La Russia, invece, dice Limonov, è una pagina bianca, la vita politica è inesistente e lui ha scelto la via della creatività e dell'audacia che osa nuove esperienze e batte strade inedite. Non ha alcuna difficoltà il Limonov del 2012 ad ammettere di aver combinato insieme un miscuglio di idee di estrema sinistra e di estrema destra. E così implicitamente riconosce che il radicalismo estremistico che ha accompagnato tutta la sua carriera di scrittore e uomo politico è in realtà costruito ed è frutto di una scelta creativa. Ciò che ha fatto del suo scandaloso personaggio un sonoro "schiaffo al gusto pubblico" è un estremismo artistico e culturale, così lo definisce apertamente Eduard Veniaminovič.
Un paso doble con giravolta, e olà!, ecco la blusa gialla di Majakovskij (che in suo romanzo Limonov rivisita sotto le forme canarine di una camicia Italian style): il gesto dell'artista disperatamente desideroso di incarnarsi nell'esistenza. Il personaggio di carta esce fuori dalle righe e passeggia per le strade patinate di Manhattan e Parigi o per i monumentali viali sovieticheggianti della Transdnistria, ma per essere più vero, per redimere la maledizione della carta, discende negli inferi della vita, si mischia con il fango, si sporca con il sangue e con tutti i possibili fluidi corporei.
"È esattamente questa la vita che ho sempre voluto: caleidoscopica, arrischiata, sfavillante. Adesso la prigione e lo status di criminale, la dignità di criminale di Stato mi hanno colato nel bronzo, reso un monumento. Chi oserà più mettere in dubbio la mia sincerità e tragicità?" (Il libro dell'acqua).






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