giovedì 18 aprile 2013

Dell'icona e del tempo II


Nel XII secolo a Bisanzio scoppiano nuove dispute teologiche sulla natura del Cristo, divina e umana. Il Suo sacrificio sulla croce come pegno di umana salvezza dovrebbe sancire la Sua piena, dolorosa umanità.
I volti delle icone si fanno pensosi, soffusi di una melanconia assorta, segno di meditazione sulla Passione.
La celebre Madonna di Vladimir ne è perfetto esempio. Questa che percepiamo come una delle più russe tra le icone russe è in realtà proveniente da Costantinopoli. Commissionata dal gran principe di Kiev a Costantinopoli, fu portata nella Rus' attorno al 1131 (solo i volti sono originali, il resto è russo) ed è diventata il simbolo miracoloso della lotta contro i tatari, prima Kiev, poi a Vladimir, e infine a Mosca, ripercorrendo così tutte le tappe del divenire della Moscovia.
La tradizione tramanda che fu dipinta da San Luca: l'autorità apostolica ed evangelica veniva invocata per suggellarne l'autenticità senza mediazioni. In realtà, il canone della Madre di Dio della tenerezza risale al VII secolo. La tenerezza non intende richiamare un sentimento o alludere alla trepida relazione madre-figlio, ma stabilisce un dogma preciso, quello dell'Incarnazione.
Il retro dell'icona
Il gesto impetuoso del Bambino, la sua manina che passa dietro al collo della Madre, non rendono così un tratto psicologico, ma alludono alla dipendenza di Dio da una fragile donna. Alle icone non interessa il dato psicologico: instancabili sondano le vie misteriose della presenza del divino nel reale.
Mentre il Bambino si protende nell'abbraccio materno, lei scruta già le sofferenze della Passione che il retro dell'icona testimonia in modo inequivocabile. 
Ma anche il Bambino è tutto proteso verso il futuro, è già vestito da adulto con la toga e il manto del saggio-filosofo ellenistico, il suo piccolo volto riflette esperienza e saggezza.
Il volto della Madonna è come se sgorgasse da un intrico di luci e ombre: si tratta di un chiaroscuro misterioso perché la luce nell'icona non viene da alcuna fonte, è insondabile, non la si rintraccia. Le ombre vengono usate (triangolari sopra gli occhi), ma senza alcun intento mimetico o illusionistico. Le forme nascono da una fusione di procedimenti astratti e naturali che trapassano inavvertitamente gli uni negli altri, richiamando ancora una volta alla dottrina dell'incarnazione, anche nel processo creativo, anche nella "tecnica" della creazione.
Lo stesso succede per i colori: a volte essi imitano la natura (i capelli marroni del Bambino, in questo caso), altre seguono schemi astratti in rapporti coloristici e ritmici o in valenze simboliche. Non sono mai arbitrari, ma esprimono la concezione patristica, cristiano orientale, della natura della luce.

La luce naturale, del sole, è derivata da quella divina (l'oro dello sfondo) che conferisce la forma materiale del colore (nella sua perfezione: il bianco). A partire dal colore, dunque, dovremmo essere in grado di ritornare alla luce divina, alla luce pura, segno dell'irradiantesi presenza divina.
Le icone ci accompagnano in questo passaggio anche grazie all'impiego dei colori complementari: qui il verde della cintura del bambino è complementare al marrone dei capelli, l'arancione della sua tunica al blu della cuffia sotto il velo della Madre. La fusione dei colori complementari, come l'uso combinato degli estremi dello spettro, allude al bianco. La candida manifestazione creata della luce increata (l'oro).
La bocca della Madre porta traccia del sorriso sapiente, motivo arcaico che risale alla Grecia e all'Egitto antichi, motivo della tradizione mediterranea(si trova anche nelle sculture romaniche).
Il volto sembra modellato plasticamente, in realtà è un assemblage di piani staccati, ma legati insieme in armonia. La testa si compone di una veduta frontale, il volto, ma anche di una veduta dal disopra, il cranio dall'alto. Il risultato di questo assemblage è l'espressione dell'oggetto molto più completa di quanto si farebbe con metodi dell'arte illusionistica, limitata a quel che l'occhio osserva da un punto di vista fisso.
Non è un caso che l'avanguardia russa studi con tanta attenzione le icone. Anche il cubismo distrugge l'unico punto di vista e rigetta una visione della realtà tutta plasmata da un occhio unico. L'esito simile però parte da premesse diverse, per non dire opposte. Non è la disgregazione dell'io che porta alla scomposizione e alla libera ricomposizione dei piani, ma, al contrario, è la ricerca di una sintesi superiore che comprenda tutti i singoli punti di vista. Anche il risultato è diverso, a pensarci bene: nelle icone le diverse angolature vengono associate con finezza tale che quasi non ce ne accorgiamo, non vengono percepite violenza e disgregazione, ma come un'unità più alta.
Contemporaneamente, il volto si sposta a sinistra ma il velo rimane al suo posto, come se rimanesse indietro: un movimento che segna il nuovo centro radiale della composizione della testa, non il centro del viso ma il grande, melanconico occhio sinistro della Vergine. La potenza di questa icona sta proprio nel fatto che l'occhio è il centro preciso della parte superiore dell'icona, da lì irradia e attrae come centro magnetico.
Insieme al cerchio, il reticolato e la croce, il triangolo è uno degli schemi compositivi basilari dell'iconografia. In questo caso abbiamo proprio un grande triangolo con il vertice in alto (il busto) e il volto della Vergine che invece è un triangolo più piccolo rovesciato. Questi triangoli, maschio e femmina, si trovano in tutte le religioni storiche. La loro sovrapposizione forma infatti l'esagono della stella o sigillo di Davide, nella tradizione indù è lo yantra fondamentale e nel simbolismo pitagorico è segno della perfezione degli esistenti.
Si noti che l'occhio della Vergine è incorniciato da una forma perfettamente triangolare costituita dal sopracciglio e dall'ombra sotto l'occhio. Anche il triangolo oculare risale a un'antica simbologia molto antica che risale al periodo musteriano dell'era paleolitica: suo sinonimo è il pesce e la luna, come misuratrice del tempo con la sua ciclica altalena di buio e luce, morte e rinascita.
Torniamo all'inizio, dunque. L'oro e il legno. Il musteriano e l'avanguardia. L'eterno e il tempo.
K. Petrov-Vodkin, Madonna di Pietrogrado, 1920







1 commento:

  1. Non è per nulla sorprendente, ma assolutamente evidente come affiorino nell'Icona motivi così antichi da poter risalire addirittura al neolotico , trattandosi di immagini che nascono direttamente da quel fondo "eterno" della psiche, da quell'inconscio collettivo che conserva tutte le immagini primordiali del "sacro".
    Il famoso sorriso ineffabile, che tu chiami "sorriso sapiente" che ritroviamo sul viso dell'Apollo di Veio, delle innumerevoli statue del Buddha,dei Kuroi e delle Kore, ecc...è forse anche il segreto della Gioconda?
    E la modernità di Modigliani non ha forse la stessa radice antica di queste esili e spirituali Vergini?

    RispondiElimina