lunedì 24 ottobre 2016

Da "Requiem" di Anna Achmatova, la trecentesima in fila



La crocifissione
                          Non singhiozzare per Me, Madre, che giaccio nella bara.
I.
Il coro degli angeli glorifico' l'ora solenne
E i cieli si sciolsero nel fuoco.
Al Padre disse: "Perche' Mi hai abbandonato?"
E alla Madre: "Oh, non singhiozzare per Me..."

II.
Maddalena si disperava e singhiozzava,
Il discepolo prediletto era impietrito,
E la' dove in silenzio stava la Madre
Nessuno osava neppure volgere lo sguardo.


Anatolij Najman, molto vicino ad Anna Achmatova, scriveva così di Requiem (scritto tra il 1935 e il 1940, ma mai messo su carta prima del 1962, troppo pericoloso, un rischio mortale): "A rigore Requiem è poesia sovietica, realizzata in quella forma ideale descritta in tutte le sue dichiarazioni. L'eroe di questa poesia è il popolo. Non ciò che è definito tale dagli interessi politici, nazionali o ideali di una maggioranza più o meno estesa di gente, ma tutto il popolo: tutti fino all'ultimo partecipano da questa o da quella parte in ciò che succede. Questa poesia parla a nome del popolo, il poeta è con lui, è una sua parte. La sua parola è semplice quasi come quella dei quotidiani, comprensibile al popolo, i suoi procedimenti diretti: "per loro ho intessuto io un ampio manto di parole povere, che da loro ho origliato". E questa poesia è colma di amore per il popolo."
Questo è l'incipit del poema:

"In luogo di prefazione
Nei terribili anni della "ezovščina" ho trascorso diciassette mesi a fare la
coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi "riconobbe".
Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che,
certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridesto' dal torpore proprio
a noi tutti e mi domando' all'orecchio (li' tutti parlavano sussurrando):
- Ma lei puo' descrivere questo?
E io dissi:
- Posso.
Allora una specie di sorriso scivolo' per quello che una volta era stato il
suo volto."

E' dunque scritto da un poeta, che si annulla nel suo popolo, la trecentesima in fila con il pacco davanti alla prigione. Non l'eroismo dei costruttori indomiti del futuro, ma quello della vittima resistente custode dell'oggi e del passato.

Как хочет тень от тела отделиться,
Как хочет плоть с душою разлучиться,
Так я хочу теперь — забытой быть.
Come vuol l'ombra dal corpo staccarsi,/ Come vuol la carne dall'anima separarsi, / Così voglio io ora - cadere nell'oblio.

Ninnananna e canto funebre della madre per il figlio, io lo vedo come un atto civile, uno spartiacque, passato il quale non si può tornare indietro. Sgorga il Requiem e da lì come un fiume incontenibile altri versi, altri poemi (tra cui Poema senza eroe), un'altra voce. Potente. Regale. Allucinata perché conosce la morte e la pazzia (tema delle ultime due poesie del ciclo) che si annidano nelle pieghe della Storia.
"Libro ombra", "l'altro libro", "la raganella del lebbroso", "quaderno intimo", così lo chiama Achmatova nei suoi diari: "... e veniva il funebre Requiem, il cui unico accompagnamento possibile è solo il Silenzio e i bruschi, radi rintocchi della campana a morto."
Il silenzio, il buco, il nero vuoto, dove sta la Madre sotto la croce.
L'icona si chiama proprio come l'epigrafe della poesia citata: Не рыдай Мене, Мати, Non singhiozzare per Me, Madre... con un verso preso dalla liturgia del Sabato Santo, il canone di Cosma di Maiuma.
Achmatova lavora come un iconografo: contaminando Vangelo e testi liturgici riempie l'essenzialità del suo tratto e la laconicità del suo dire di un significato profondo che monta ad ogni lettura.



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