lunedì 10 maggio 2010

Il giorno della Vittoria secondo Ljudmila Alekseeva

Celebrazioni e memoria non sono sinonimi di pompa magna e retorica. Ecco come si ricorda il 9 maggio 1945 Ljudmila Alekseeva (dal suo blog, ormai più volte citato): "Domani è il 9 maggio. E' la 65° volta che festeggio questo giorno. Per me ora è la festa più importante. E ogni volta viene in mente come ciò si è svolto nel 1945. Ci sono dei giorni nella vita che non si dimenticano per quanto a lungo tu possa vivere.



Sapevamo già che l'annuncio della fine della guerra stava per arrivare e non spegnavamo la rafio. Noi non avevamo apparecchi radio, li avevano confiscati subito all'inizio della guerra, ma in tutte le case c'erano dei riproduttori, quelle specie di dischi neri che si appendevano alle pareti. Allora io facevo la decima classe. Il 9 maggio ci sarebbe dovuto essere un compito in classe di algebra. La sera prima ero stata alzata sui manuali fino a tardi. Quando ero andata a letto tutte le finestre della casa di fronte erano scure. Ma la mattina dopo prestissimo, ancora prima delle 6, la mamma (il riproduttore era in camera sua) mi aveva svegliato: “Ljudočka, alzati! La guerra è finita!”. Sono balzata su, mi sono messa a vestirmi quasi come impazzita e in quei pochi minuti nella casa di fronte hanno cominciato ad accendersi tutte le finestre, una dopo l'altra. Si erano svegliati tutti, la guerra era finita!

Sono corsa in strada, sono andata da una compagna di scuola. E per le strade c'erano moltissime persone, da tutte le parti le persone confluivano in centro, in Piazza Rossa. Là c'era più gente che in qualsiasi altra dimostrazione, benché non ci fosse nessun incolonnamento, semplicemente la gente si affollava in piazza.
E' stato il giorno più felice della mia vita. Perché quel giorno non ero felice solo io, ma tutti intorno a me lo erano. E la cosa stupefacente è che non c'erano in giro ubriachi. Ma proprio come ubriachi tutti ridevano, cantavano, si abbracciavano, si facevano l'un l'altro gli auguri, che ci si conoscesse o no. Alcuni nostri militari videro un ufficiale con l'uniforme polacca e cominciarono a farlo saltare su di un telo. Eravamo infatti alleati allora. E un ufficiale aveva comprato da una gelataia l'intera bancarella e distribuiva i pacchetti ai passanti: “Abbiamo vinto, vinto, favorite!”
Ma penso che quel giorno a farci tutti contenti non era solo il fatto che avessimo vinto. La cosa più importante era che la guerra era finita, che nessuno sarebbe più morto. Perché che si sarebbe vinto lo si sapeva già anche prima del 9 maggio. Quando le nostre truppe erano arrivate al confine dell'URSS ed erano entrare nel territorio nemico, lì fu chiaro che avevamo vinto. Allora, naturalmente, esultammo, ma non come il 9 maggio.
Anche il 2 maggio quando avevano preso Berlino ci fu l'esultanza generale. Quello mi è rimasto in mente come un giorno di festa anche perché a Mosca avevano tolto l'obbligo di schermare le finestre e per la prima volta in quattro anni si erano accesi i lampioni per strada e le finestre delle case. Ma anche quel giorno non si può paragonare con il 9 maggio quando finì la guerra. Penso che quel giorno siano stati felici anche nella Germania sconfitta, perché chi si era salvato sarebbe tornato a casa..."

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