Ci sono tanti temi, trattati con profonda leggerezza. La cocotte, come la chiama la mammetta, di Vincent, la casa marmorea e la Statua similgreca che si riflette nello specchio: la Bellezza può essere solo un grande equivoco e vuota superficialità. Il potere che snatura ogni cosa con la sua impersonalità: veniamo a sapere il nome di Vincent solo dopo che viene deposto. L'esistenza fatta di piccole cose, bere (vino, naturalmente), mangiare, innamorarsi. Iosseliani ha la fama di pessimista e disilluso.
A me non pare proprio. Il suo atteggiamento mi sembra essere quello della mamma-Piccoli: un po' brusco e sbrigativo, ma pronto ad accettare tutto con tanto amore e comprensione, senza tante domande. E poi il finale con quel banchetto di donne, dipinto dall'amico Arnaud, il pittore-giardiniere ("io pianto gli alberi, non li taglio, una cosa nuova"). Una cosa nuova e antichissima, appunto, come non spegnere il lucignolo fumigante di Isaia. Non sarà un caso che Arnaud sia proprio interpretato da Iosseliani e ricordi tanto un altro grande artista georgiano. Ma questa è un'altra storia.
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