martedì 27 luglio 2010

Giardini in autunno. Otar Iosseliani (II parte)

Ci sono tanti temi, trattati con profonda leggerezza. La cocotte, come la chiama la mammetta, di Vincent, la casa marmorea e la Statua similgreca che si riflette nello specchio:  la Bellezza può essere solo un grande equivoco e vuota superficialità. Il potere che snatura ogni cosa con la sua impersonalità: veniamo a sapere il nome di Vincent solo dopo che viene deposto.  L'esistenza fatta di piccole cose, bere (vino, naturalmente), mangiare, innamorarsi. Iosseliani ha la fama di pessimista e disilluso.
A me non pare proprio. Il suo atteggiamento mi sembra essere quello della mamma-Piccoli: un po' brusco e sbrigativo, ma pronto ad accettare tutto con tanto amore e comprensione, senza tante domande. E poi il finale con quel banchetto di donne, dipinto dall'amico Arnaud, il pittore-giardiniere ("io pianto gli alberi, non li taglio, una cosa nuova"). Una cosa nuova e antichissima, appunto, come non spegnere il lucignolo fumigante di Isaia. Non sarà un caso che Arnaud sia proprio interpretato da Iosseliani e ricordi tanto un altro grande artista georgiano. Ma questa è un'altra storia.


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