Secondo Nabokov Tolstoj era ossessionato dalla verità, non “la pravda quotidiana, ma l’immortale istina – non la verità, ma la luce interiore della verità./…/ La verità essenziale, istina, è una delle poche parole russe non rimabili. Non ha un compagno verbale e non ha associazioni verbali, si erge sola e isolata, a parte una vaga indicazione della radice ‘ergersi’ nello scuro fulgore della sua antichissima roccia. Quasi tutti gli scrittori russi hanno mostrato uno straordinario interesse per l’esatta ubicazione e le proprietà essenziali della Verità. Per Puškin era marmo sotto un nobile sole; Dostoevskij, scrittore assai inferiore, la vedeva come una cosa di sangue e lacrime e isterismi e attualità politica e sudore; e Čechov la guardava incuriosito, anche se apparentemente assorto nel nebbioso paesaggio che la circondava. Tolstoj avanzava deciso verso di lei, a testa bassa e coi pugni stretti e trovò il luogo dove una volta s’ergeva la croce, o trovò – l’immagine del proprio io”.
In realtà, io credo che Čechov, scrutando incuriosito la verità, guardasse proprio a Tolstoj, è difficile rendersi conto pienamente del peso che il grande vecchio di Jasnaja ebbe su di lui. In una lettera a un conoscente, M.O. Men'šikov, infatti, scriveva: "Temo la morte di Tolstoj. Se morisse, nella mia vita si formerebbe un enorme vuoto. Prima di tutto non c'è persona che io ami come lui; io, che non sono credente, ritengo proprio la sua fede la più vicina e la più adatta a me tra tutte le fedi al mondo" (28 gennaio 1900).
Dalla fine degli anni Ottanta in poi moltissime opere čechoviane sono una rilettura, una risposta, anche una polemica con Tolstoj.
C'è una barchetta che beccheggia tra le pagine dei nostri due: nella Confessione di Tolstoj (1882) e nel Duello di Čechov (1891, racconto impregnato di Tolstoj come nessun altro, quindi la ripresa dell'immagine non sarà casuale). Nella Confessione la barca, immagine dello scrittore confuso e smarrito, è portata dalla corrente in una direzione precisa, verso la riva: "La riva era Dio, la direzione da seguire era la tradizione, i remi la libera volontà (volja) a me data di remare verso la riva e di ricongiungermi con Dio. E così la forza vitale si rinnovò in me e di nuovo cominciai a vivere". Nel finale del Duello il protagonista Laevskij accompagna con lo sguardo il suo ex avversario che parte: «La barca viene sospinta indietro" pensava, "fa due passi avanti e uno indietro, ma i rematori sono cocciuti, instancabili danno di remi e non temono le onde alte. La barca va avanti e avanti, ormai non la si vede più, e andrà avanti una mezzoretta e i rematori vedranno bene le luci del piroscafo, e tra un'ora saranno già alla scaletta. Così è anche nella vita... Nella ricerca della verità gli uomini fanno due passi avanti e uno indietro. Le sofferenze, gli sbagli e la noia della vita li ricacciano indietro, ma la sete della verità e la cocciuta volontà (volja) li spingono avanti e avanti. E chissà? Magari, riusciranno a navigare fino all'autentica verità...".
Čechov non nega che ci sia un'autentica verità, ma rompe il passo deciso di Tolstoj in incerte sequenze a zigzag. Il viaggio, la strada: in tutte le sue opere c'è un continuo muoversi, ma in realtà il movimento è un problema. Su e giù, avanti e indietro, di qua e di là, sperso negli ampi spazi della steppa o tra le onde del mare, impantanato in percorsi sabbiosi in cui si arranca, spesso è un falso movimento, un movimento che nega se stesso, come il moto rotante del mulino a vento (La steppa).
Se la barca di Tolstoj filava dritta con la corrente di un fiume, quella di Čechov fluttua sperduta nel mare in tempesta in una notte buia. Lev Nikolaevič approda alla solida riva, i rematori di Anton Pavlovič invece intravedono la loro meta in un piroscafo tra i flutti che a sua volta sta per salpare in un mare ancora a lungo senza sponde.
E, infine, la riflessione sull'"autentica verità" del dolente, sconfitto (ma non del tutto a ben guardare) Laevskij è incorniciata. Il racconto non finisce così, "forte" con la menzione, pur incerta, della verità. Devono ancora venire i commenti dei suoi compagni che come lui stanno osservando la barchetta e un'esile annotazione del narratore:
"- Addi-ooo! - urlò Samojlenko.
- Non si vede e non si sente - disse il diacono. - Buon viaggio!
Si mise a piovere".
Come tutti i finali čechoviani il tono si smorza: è un "pianissimo" questa pioggia battente che diffonde un'aria di mestizia, "pianissimo" è questo commiato sordo e muto, un'eco al triste "Chissà", "Magari" del protagonista. Questa "autentica verità" ci sfugge ma i nostri tortuosi percorsi non ci devono rendere meno cocciuti.
Il quadro è di Levitan (Paesaggio sul Volga. Barche sulla riva). Dal sito http://www.the-athenaeum.org
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