Un tassello dietro l'altro si precisa l'immagine che abbiamo della società sovietica. Questo libro sui rapporti tra la Chiesa ortodossa e il potere sovietico aiuta a ricostruire il quadro della storia culturale sovietica, oltre che religiosa. Qui sotto l'intervista di Roccucci al giornale "Europa" di mercoledì 18 maggio, dove lo storico parla della specificità dell'ateismo professato dallo Stato sovietico che non per questo si proponeva Stato laico, anzi: invece di sottoporre la Russia a una secolarizzazione, l'avvio verso una "confessionalizzazione ribaltata" (e forzata, aggiungerei io).
Stalin e la resistenza ortodossa
Adriano Roccucci ricostruisce i rapporti tra chiesa e potere sovietico
di Matteo Tacconi
La chiesa ortodossa russa, oggi, conta. Fa sentire la sua voce e viene ascoltata. È un’attrice sociale e culturale che ha recuperato prestigio e incisività, dopo il secolo breve comunista, durante il quale subì durissime vessazioni.
La chiesa fu stordita dalla foga inquisitoria del regime, ma non soccombette. Seppe resistere. È proprio quella resistenza la fonte che ha permesso al patriarcato di Mosca di tornare a esercitare un ruolo importante nella Russia post-comunista, riappropriandosi di quella vocazione millenaria di architrave della “russità”. In Stalin e il patriarca, la Chiesa ortodossa e il potere sovietico 1917-1958 (Einaudi, pp. XXXII-509, euro 36), Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e filosofia di Roma Tre, ricostruisce magistralmente quelle vicende, accendendo i riflettori su una storia poco conosciuta, ma degna di grande attenzione.
Professore, lei racconta di campagne iconoclaste, crociate antiortodosse, persecuzioni nei confronti dei religiosi. Perché i sovietici si scagliarono così violentemente contro la chiesa?
L’esperienza sovietica, specie nei primi decenni, non si risolse con il tentativo di secolarizzare stato e società. Prese la forma, piuttosto, di una “confessionalizzazione ribaltata”. Quello sovietico non era il modello dello stato laico, tendenzialmente neutrale verso la religione. I sovietici avevano una posizione chiara su Dio e professavano l’ateismo. Il tutto s’inseriva in un clima segnato dal mito rivoluzionario e dell’uomo nuovo. L’ateo sovietico era diverso dall’ateo occidentale. Era un credente, in taluni casi addirittura più credente del religioso. Questo carattere, in parte “mistico”, pervade tutta la storia bolscevica e connota la lotta contro gli ortodossi.
In virtù di questo medesimo aspetto i comunisti, come lei rammenta, spostarono la capitale da Pietroburgo a Mosca, con l’idea di rimodellare la città, storico centro d’irradiazione ortodosso, facendone il simbolo della nuova “religione”.
I sovietici si misurarono con la questione della sacralità del potere, tradizione di lungo periodo della storia russa, in base alla quale il potere necessita di un “supplemento sacrale di carisma”. Non c’è dubbio che il rapporto con Mosca è uno snodo. Il potere volle costruirsi un’aurea di sacralità, riappropriandosi addirittura dei simboli della storia russa. È il caso del Cremlino, nella cui cattedrale il trono dello zar e quello del patriarca ortodosso sono uno vicino all’altro e dove lo stesso zar veniva incoronato. Con Stalin, in modo ancora più evidente, si consumò una strategia per convertire la “Terza Roma” alla tradizione bolscevica.
Il piano regolatore portò alla costruzione dei sette, celebri grattacieli staliniani. Non è casuale che sette fosse anche il numero dei colli di Mosca e dei monasteri ortodossi, abbattuti dal regime, disposti a semicerchio lungo il secondo anello della città prerivoluzionaria.
Dopo un’accanita fase anti-ortodossa, il 5 settembre del 1943 Stalin convoca al Cremlino i tre metropoliti reggenti della chiesa, varando un approccio meno conflittuale alla questione ortodossa. Perché quella svolta?
È proprio quell’incontro la domanda conoscitiva di questo lavoro di ricerca. Fu un evento paradossale, drammatico. Tre uomini di fede che avevano sofferto la persecuzione assistendo all’eliminazione di credenti, preti e vescovi durante gli anni ’30, si confrontarono con il loro carnefice. Venne stabilito una sorta di compromesso. Stalin chiuse la parentesi della persecuzione dura e pura, dando alla chiesa maggiori spazi e la possibilità di eleggere un nuovo patriarca (dopo la morte di Tichon nel 1925 il governo impedì l’elezione del nuovo capo ortodosso). I motivi a monte della svolta sono molteplici. C’è chi ha sostenuto che Stalin, proprio alla vigilia della conferenza di Teheran, voleva ingraziarsi gli anglo-americani, sensibili ai temi della libertà di culto. C’è chi ha affermato che il Cremlino aveva bisogno della sponda della chiesa nella “guerra patriottica”. In parte è vero, com’è vero che Stalin aveva anche altre opzioni finalizzate a ingraziarsi gli alleati e che la guerra, dopo le battaglie di Stalingrado e Kursk, volgeva ormai a favore dei sovietici. A mio avviso la ragione principale della svolta, che tra l’altro non arriva all’improvviso, visto che i rapporti con le gerarchie ortodosse s’erano fatti da qualche tempo meno aspri, risiede nella geopolitica. Stalin, per realizzare i suoi obiettivi di guerra, cioè l’allargamento a occidente delle frontiere e dell’influenza dell’Urss, aveva bisogno di mettere a punto una strategia finalizzata a blindare il controllo sui territori acquisiti con il patto Ribbentrop-Molotov e sull’Europa orientale. Nella sua mente era chiaro che la chiesa poteva giocare un ruolo funzionale agli interessi sovietici, attutendo i sentimenti antirussi delle popolazione di frontiera e cementando il legame tra la chiesa di Mosca e le chiese dell’Europa balcanica e centro-orientale.
Come riassumerebbe la posizione tenuta dalla chiesa durante lo stalinismo?
È una chiesa che resiste, è una chiesa di martiri (un milione di persone vennero uccise a causa di questioni legate alla fede), è una chiesa che percorre le vie della clandestinità. Con la svolta del ’43 trova nuove possibilità, anche se limitate e ridotte. In generale, direi che la chiesa ha fatto resistenza mobilitando la leva liturgica. Continuando a celebrare il culto e a mantenerne la magnificenza, uno dei punti di forza della tradizione ortodossa, tenne vivo uno spazio di bellezza e alterità rispetto alle stile e alla cultura dell’Urss. La chiesa, resistendo, è riuscita a rimanere nella profondità della società russa e a superare anche la seconda fase delle campagne antireligiose, lanciata dopo la morte di Stalin. Tant’è che, nell’89, alla caduta del Muro e nell’ultima fase dell’esperienza dell’Urss, emergerà un fiume carsico.
Troppo spesso s’è fatto proprio l’assunto della propaganda sovietica, che diceva che la religione non era che una sopravvivenza del passato. Invece no, non è andata così.
“...tenne vivo uno spazio di bellezza e di alterità...”
RispondiEliminaCredo che non si possa esprimere meglio e in modo più conciso un pensiero così profondamente vero e pregnante. Davvero il bisogno di bellezza e di alterità sono essenziali per la vita dello spirito e sono insopprimibili. Per fortuna!
Mi pare riduttivo parlare della bellezza e l'alterità ortodossa nei confronti dello stile sovietico... Basta vedere l'arte russa ed entrare in una chiesa ortodossa... Vedo più ragioni geopolitiche e di ricerca del consenso interno, visto che la chiesa ortodossa avendo referenti nazionali propri che di fatto non mettono in discussione il potere centrale, paradossalmente rafforza e il leader locale, a differenza di quella cattolica che, avendo un potere extranazionale, Il Vaticano, può creare tensioni di sovranità interne ed ingerenze in conflitto di attibuzione di sovranità...
RispondiEliminaGrazie del commento, appassionato anonimo! Ma chi sei?
RispondiEliminaSollevi una questione importante di cui ho naturalmente una mia opinione, ma mi piacerebbe andare cauta perché è tutto così complesso: si va a toccare non solo politiche e interessi nazionali, ma tutta una sfera intima che riguarda la fede in Dio, la spiritualità delle persone. Penso che la Chiesa russa, come tutte le Chiese, sia stata e sia tuttora una realtà molto stratificata. E' vero quello che tu dici riferendoti a un'istituzione spesso succube dello Stato (fin dai tempi di Pietro il Grande, anzi problemi c'erano già con Ivan il Terribile, vedi il film Zar di Lungin), ma è vero anche che la stessa Chiesa, o almeno parte di essa, con coraggio e determinazione è scesa nelle catacombe, i suoi figli insieme ai loro pastori sono finiti in lager . Chi è rimasto fuori spesso si è sentito investito della missione di tenere aperte le chiese, almeno quello, di resistere "più bassi dell'erba, più tranquilli dell'acqua" come si dice in Russia. Poi c'è l'altra parte, affari, intrighi, colonnelli del KGB infiltrati nella gerarchia (o viceversa?). Ma Dio l'aveva detto ad Abramo, bastava che gli trovasse dieci uomini giusti per salvare Sodoma e Gomorra...