Ama la Rivoluzione!,
pubblicato da Jaca Book nell'ambito di un progetto che prevede la
proposta di altre opere di Solženicyn, fu scritto nel 1948 a
Marfino, la šaraška (il lager "leggero" in cui
lavoravano gli scienziati), poi immortalata nel Primo cerchio.
Il giovane capitano d'artiglieria Solženicyn vi era rinchiuso dopo
essere stato arrestato nel 1945 per aver scritto a un amico ciò che
pensava di Stalin e di Lenin e della conduzione sovietica della
guerra.
Libro profondamente
autobiografico, esso narra la storia di un giovane di belle speranze,
Gleb Neržin, che, allo scoppio della guerra contro la Germania,
cerca in tutti i modi di farsi arruolare in artiglieria. Costretto,
invece, soldato semplice nelle retrovie, l'ingenuo e intellettuale
Neržin precipita nella realtà imprevedibile e ingovernabile della
guerra che muta completamente la percezione di sé e del mondo.
Leggere
Ama la Rivoluzione!,
così ben tradotto e curato da Sergio Rapetti, è
un buon viatico all'opera intera di Solženicyn perché si tratta di
un nodo fondamentale della parabola creativa dello
scrittore. Tra i diversi "saggi di vita letteraria", questo
romanzo incompiuto colpisce per la sincerità e l'immediatezza del
documento che, al tempo stesso, contiene in germe molti dei grandi
temi futuri.
Il libro si salva
fortunosamente solo grazie al coraggio e la cura di una amica e nel
1956 ritorna all'autore, che sceglierà di pubblicarlo nel 1999,
lasciandolo immutato e incompiuto. Come se Solženicyn
avesse voluto conservare quella immediatezza e quel
particolare punto di vista di "un ingenuo ventitreenne"
all'inizio della guerra, filtrato da un appena più navigato
trentenne recluso nella šaraška.
E, in effetti, mentre nei
romanzi maturi il filo rosso dell'autobiografia si intreccia con
altri fili e l'autore rifrange la propria esperienza in più figure,
qui il personaggio di Gleb Neržin è in gran parte sovrapponibile
con il giovane Solženicyn.
Questa testimonianza
autobiografica si può leggere come documento storico perché
l'individuo Neržin si rappresenta e si percepisce essenzialmente
come soggetto storico, "educato dal banco di scuola a non
separare il proprio destino da quello del suo paese".
Solženicyn ci sta così
documentando la mentalità, lo stato d'animo della sua generazione, i
giovani del '17, i coetanei della Rivoluzione, che, nutriti del
romanticismo rivoluzionario, aspettano di dare il loro contributo
eroico alla grande causa luminosa. Molta storiografia ha messo a tema
la relazione particolare tra società totalitaria e opinione
pubblica, evidenziando che la costruzione del consenso era
altrettanto importante ed efficace della repressione. Il desiderio di
acquisire una biografia sovietica e di entrare nel corso della
storia, il bisogno di plasmare e ricreare la propria vita,
l'"automodellamento" (J. Hellbeck) nascevano da un clima di
intense pressioni sociali e politiche, ma andavano ben oltre la
politica per investire la sfera morale ed esistenziale. Proprio nel
periodo del Grande Terrore molti giovani inurbati interiorizzavano
l'ideologia comunista che non preesisteva al soggetto, ma da esso
veniva attivata e agita. Ricostruendo il meccanismo
dell'interiorizzazione dell'ideologia, Solženicyn ce ne rende tutta
la complessità, anticipa qualsiasi storiografia e la sorpassa per
profondità, ben prima di diventare il minuzioso cronista del Gulag.
Forte della missione che
si sente dentro, Neržin a Mosca giudica la gente tutta presa dalla
proprie preoccupazioni come una massa di bruti: con l'impazienza
dell'idea non vede la realtà del popolo.
È qui che inizia la
parabola personale e interiore di crescita del giovane "pivello"
attraverso l'immersione nelle sofferenze del popolo descritte con
laconica ed efficace partecipazione. Da
questo momento il senso di fastidio quasi inconscio del dubbio (le
molte cose che Gleb sa ma che si era allenato a non considerare) si
affaccia sotto l'ideologia interiorizzata e aumenta fino ad arrivare,
con un maestoso crescendo, al "gelido soffio di un mondo
impensabile" che investe il giovane e che la scrittura esplicita
con un agghiacciante, epico elenco degli orrori.
La realtà si presenta a
Neržin in tutta la sua complessità, tragica e comica; la Russia
intera (nome che era stato educato a considerare opposto a
quell'altro sacro di "Rivoluzione") spira "fragrante
di cipresso e d'incenso, di paglia e di betulla", spira nella
figura reale ma potentemente simbolica del vigoroso vecchio canuto
che salva la vita a Neržin e che lo
guarda "come se stesse perdonandogli qualcosa".
E'
il tema dostoevskijano della colpa e della responsabilità di ognuno
per tutti che conclude il libro e annuncia il Solženicyn maturo. La
parola solženicyniana si muove all'interno dell'intrico misterioso
di colpa e innocenza, di carnefice e vittima. Per questo non si può
strumentalizzare. Cosa che invece succede puntualmente. Il grande
scrittore russo ha sempre trasceso ogni piccolo calcolo da guerra
fredda e lo trascende anche ora che la guerra fredda è finita e non
tutti sembrano essersene accorti.
E' uscito sull' "Indice dei libri del mese" di settembre.
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