I pensieri di Giulia De Florio sul nuovo libro di poesie di Massimiliano Aravecchia
Nella sciarpa riparandomi col palmo
dalla finestra griderò ai bambini:
che millennio abbiamo, cari,
adesso nel cortile?
B.L.
Pasternak
La poesia va letta e
riletta e riletta. Le sedimentazioni possono essere lunghe, come un
vino spesso e denso che impasta la bocca, o brevi, fugaci, un
alcolico picco estatico che scompare con la stessa foga della discesa
in gola.
Le parole di Maks (mi
perdonerà il nome, ma è l’unico – in me – per lui) hanno una
lunga decantazione, rimangono attaccate al palato, non si scollano
dagli occhi e dall’anima. Proprio come una collina gravida di vite
buona.
Maks stringe. Nelle
briciole di un verso, di poche righe, tiene una storia personale e i
millenni. Da qui – i versi di Pasternak, a nota esegetica. Da poeta
a poeta. Maks non ha paura di circondarsi di una, mille tradizioni,
di canti e riverberi lontani, di voci vicine. Contiene tutto, questo
d’altronde, si sa, è il mestiere del poeta. E lui non si sottrae,
né umile né sprezzante. Solo – a schiena dritta (forse un po’
curvata dal peso delle parole?), di fronte agli specchi che tanto
inquietano e confondono.
Maks scava. Il suo bog
è profondissimo, ma non verticale. Dilaga piuttosto, abbraccia tutti
gli oceani, si spande nelle strofe. Maks è poeta orizzontale,
dell’ampiezza, non delle cime. Ricopre ogni valle e fiume, fabbrica
– da artigiano, minuzioso – uno spazio senza confini. E cuce il
tempo con i pollini. Non soltanto della memoria – e cosa la è,
quando tutto è con-tempo, perché vissuto in sé, rielaborato nelle
attese dei giorni, nel pensiero di ciò che si dice «è stato»
o «sarà» soltanto per dovere di spiegazione e incapacità
del linguaggio a fissarsi al di fuori di geometrie conosciute? Lo
spazio avanza, divora ogni cosa, e nell’assenza di un prima
e un poi, o meglio, nella sua assoluta (nel senso latino,
slegata, sciolta da rigide leggi) compresenza, la geografia è
soggetta a smottamenti e slavine: le Cassiteridi e Savignano
sarebbero potuto stare insieme, nello stesso verso, l’una accanto
all’altra, senza stupore. Il ronzio incessante del mito e la
puntura dell’oggi: due estremi – soltanto in un mondo a due
dimensioni.
Maks cammina. Non si
ferma mai e il suo peregrinare è incedere cadenzato, il poeta misura
le stanze che abita con respiro eguale. Anche le Rivoluzioni e il
sangue della Spagna si piegano al suo ritmo, ma non perdono
l’intensità dell’urlo. Non sono chilometri illusori né si
risolvono nel cantuccio della mente (spesso buona scusante), ma
strappati alla terra, testimoni di sangue e passioni, dirette e
indirette. Un occhio da presa sempre in moto, il punto di fuga a cui
guardare senza pretendere di toccarlo: «Dall’esterno agli oggetti
/ dalla distesa delle pianure a un cortile / una finestra, un
vaso…».
Maks raccoglie.
Impressioni e oggetti. Eccoli, nella loro immobilità eterna a
parlare, raccontare, custodire. Le cose sono nostre nella
misura in cui dicono di noi, dopo di noi, testimoniano. Afferrare o
soltanto guardare la valigia di Nello è l’unica carezza concessa
all’anima per raggiungere le altre anime. Un ponte tra qui e là –
il più tangibile – su cui far sfilare i «miti oggetti legati / a
un abbandono fuori di noi».
Questo è il mondo che
sento nei versi di Maks. Per tutti gli altri che verranno – o sono
già stati – scenderemo ancora a cercarti, poeta, nel cortile.
Julia
Scritto toccante.
RispondiEliminaE' vero: la poesia va letta e riletta e riletta. Poi sedimenta.
Ciao Massimiliano. Sono contenta di conoscere un poeta vero. Dove posso acquistare il tuo libro? Stai bene? Noi sì. La rumorosa va avanti e chissà che non riusciremo a costruire un sottofondo poco rumoroso per la lettura delle tue poesie.Carissimi saluti.
RispondiEliminaMariella