Cittadini! In caso di cannoneggiamento questo lato della via è più PERICOLOSO |
Entro nel "Museo della Difesa di Leningrado e dell'Assedio", faccio qualche gradino e subito mi ritrovo in una saletta azzurro scuro. In silenzio scorre un filmato su tutta una parete. Sulle altre brevi sequenze di brandelli di vite lontane. Inverno. Leningrado. La gente cammina per la strada. Ponti, carretti, slitte, morti per terra. Ghiaccio, fagotti, bambini-fagotti, bambini adagiati nella bara come in una culla. Orsetti di pezza.
La gente passa. Le file per il pane, tutto bianco e le persone puntini neri. In piedi o per terra.
Ancora le slitte, slittini ovunque, come se la città intera scivolasse verso la morte su un gioco di bambini. Scorrono quelle immagini e dietro e di fianco sulle altre pareti balenano cifre, di morti, di ore in cui cadono granate incessantemente (13 ore e 14 minuti nel luglio 1943), di grammi di pane, 35% di incremento della mortalità infantile, 780000 morti nel primo anno, il più terribile per il freddo e perché tutte le persone deboli morirono quell'anno.
La gente passa. Le file per il pane, tutto bianco e le persone puntini neri. In piedi o per terra.
Ancora le slitte, slittini ovunque, come se la città intera scivolasse verso la morte su un gioco di bambini. Scorrono quelle immagini e dietro e di fianco sulle altre pareti balenano cifre, di morti, di ore in cui cadono granate incessantemente (13 ore e 14 minuti nel luglio 1943), di grammi di pane, 35% di incremento della mortalità infantile, 780000 morti nel primo anno, il più terribile per il freddo e perché tutte le persone deboli morirono quell'anno.
La periferia della città è un campo di battaglia, non per metafora. Andavano a scavare le trincee in tram.
Nel canale invaso dalla neve scorre del pattume. Galleggia un segnale stradale a forma di croce.
400.000 bambini rimasero in città. Quanto mangiavano se il pane del primo inverno d'assedio era riservato soprattutto a chi lavorava, 250 gr. agli operai, 125 agli impiegati...?
Esco dalla saletta e salgo lo scalone che mi porta all'esposizione vera e propria. Ero venuta per vedere il museo dell'Assedio, la Blokada con i suoi terribili 900 giorni e invece mi trovo di fronte a quello della Difesa, dell'Oborona di Leningrado. Giusto, penso, facciamo memoria della sofferenza atroce che ha tormentato la città (21 ottobre 1941, una nota del Dipartimento della Difesa tedesco comunica la decisione di Hitler in persona di considerare la popolazione civile della città, anzi, del "centro abitato", come "oggetto militare" e già a settembre una direttiva dello Stato Maggiore tedesco ordinava di non raderla al suolo ma prenderla per fame), facciamo memoria celebrando il suo eroismo.
Ma io e i curatori del Museo abbiamo evidentemente una diversa concezione di eroismo.
Non una parola su Anna Achmatova, non una parola di Šostakovič e la sua Settima, o sull'orchestra della Radio di Leningrado che suona, suona fino allo sfinimento, che raccoglie a sé musicisti dimenticati, accorsi per suonare quando i titolari del prestigioso posto sono morti o miracolosamente evacuati.
Capisco un po' di più quando arriva una guida del museo che accompagna un gruppo di giovani ragazzi russi. Mi accomodo poco lontano e origlio la sua spiegazione sull'operazione Barbarossa. Parla dello spregevole Hitler che invade la Russia senza dichiarazione di guerra (non so come funziona, ma la dichiarazione di guerra ci fu, il 21 giugno, un giorno prima, sia a Ribbentropp sia all'ambasciatore russo a Berlino, ma questo è un dettaglio in effetti). La guida parla a lungo ma non menziona il fatto che Stalin si era da poco alleato con lo stesso spregevole Hitler, che era stato informato dell'attacco imminente da inglesi e americani, oltre che dai propri informatori che gli avevano comunicato la data precisa. La guida parla, anzi recita come se declamasse un testo drammatico. Il pathos aumenta e la voce si alza quando parla di tradimento e poi ricorda il valore dei leningradesi che hanno resistito (di fronte a quegli smidollati di parigini che si arresero senza lottare, mah! e la Resistenza francese?)
Dimenticavo, appena entrati nell'esposizione, la prima cosa che si vede è
Stalin che di fronte all'attacco tedesco tace per 11 giorni e solo il 3 luglio pronuncia il famoso discorso alla nazione che iniziava con "Fratelli e sorelle" invece che con il solito "Tovarišči". Stalin i cui discorsi nella Leningrado assediata provocavano morti inutili perché per non offuscare la sua santa voce venivano sospese le sirene degli allarmi aerei...
Esco dalla saletta e salgo lo scalone che mi porta all'esposizione vera e propria. Ero venuta per vedere il museo dell'Assedio, la Blokada con i suoi terribili 900 giorni e invece mi trovo di fronte a quello della Difesa, dell'Oborona di Leningrado. Giusto, penso, facciamo memoria della sofferenza atroce che ha tormentato la città (21 ottobre 1941, una nota del Dipartimento della Difesa tedesco comunica la decisione di Hitler in persona di considerare la popolazione civile della città, anzi, del "centro abitato", come "oggetto militare" e già a settembre una direttiva dello Stato Maggiore tedesco ordinava di non raderla al suolo ma prenderla per fame), facciamo memoria celebrando il suo eroismo.
Ma io e i curatori del Museo abbiamo evidentemente una diversa concezione di eroismo.
Non una parola su Anna Achmatova, non una parola di Šostakovič e la sua Settima, o sull'orchestra della Radio di Leningrado che suona, suona fino allo sfinimento, che raccoglie a sé musicisti dimenticati, accorsi per suonare quando i titolari del prestigioso posto sono morti o miracolosamente evacuati.
Non una parola su Ol'ga Berggol'c (1910-1975). La voce della Leningrado assediata con il suo programma Parla Leningrado [Govorit
Leningrad] incoraggiava, infondeva vita ai cittadini stremati. Il suo Diario di febbraio (1942) racconta dello scricchiolio degli slittini, del lume cieco della candela, della eroica vita quotidiana durante il tempo dell'assedio. La cerco, vada per Achmatova e Šostakovič, ma lei come può mancare? E in effetti lei, almeno lei, c'è. Vicino al distributore dell'acqua, sotto la scala, nel disimpegno che porta a qualche ufficio di polverosa e sovietica memoria finalmente la riconosco da lontano: c'è la copia del monumento mortuario posto sulla sua lapide. Solo lei e il suo nome. Nessuna didascalia, nessuna spiegazione. Lei e il suo nome, una "vedova leningradese" come tante. In compenso accanto in una vetrinetta viene sbandierato un poeta "dell'assedio" (morto nel 2011, aveva una decina di anni al tempo dell'assedio), un certo Molčanov (il signor Dei Silenzi, nome ispiratore per un poeta).
L'esposizione si concentra sui successi militari, sui numeri degli armamenti e sul tributo di vittime pagato da... dai čekisti!! Nell'assedio muoiono 700 čekisti, 1230 poliziotti e 2500 pompieri. Sono costretti a un lavoro immenso: la caccia ai delinquenti, lingotti d'oro, speculazioni d'ogni genere, casi di cannibalismo... Non nego che la situazione sia stata difficile, anche per motivi di ordine pubblico. Ma mi rifiuto di credere che uno dei maggiori problemi della Leningrado assediata fossero le spie e i sabotatori nemici, evocati continuamente dalla stampa, dalle "matite militanti" ecc... Ma le varie campagne contro di loro fornirono il pretesto di introdurre misure straordinarie per la disciplina. Ecco allora perfettamente ricostruito l'ufficio dell'eroe čekista. Ecco la campagna contro i "chiacchieroni", il livello di aggressività tenuto ben desto. Ho visto, ad esempio, il libretto personale di un krasnoarmeec, di un soldato dell'Armata Rossa. Accanto alle tenere foto di una giovane donna e un bambino c'erano le tabelle per tenere il conto dei fascisti annientati.
Capisco un po' di più quando arriva una guida del museo che accompagna un gruppo di giovani ragazzi russi. Mi accomodo poco lontano e origlio la sua spiegazione sull'operazione Barbarossa. Parla dello spregevole Hitler che invade la Russia senza dichiarazione di guerra (non so come funziona, ma la dichiarazione di guerra ci fu, il 21 giugno, un giorno prima, sia a Ribbentropp sia all'ambasciatore russo a Berlino, ma questo è un dettaglio in effetti). La guida parla a lungo ma non menziona il fatto che Stalin si era da poco alleato con lo stesso spregevole Hitler, che era stato informato dell'attacco imminente da inglesi e americani, oltre che dai propri informatori che gli avevano comunicato la data precisa. La guida parla, anzi recita come se declamasse un testo drammatico. Il pathos aumenta e la voce si alza quando parla di tradimento e poi ricorda il valore dei leningradesi che hanno resistito (di fronte a quegli smidollati di parigini che si arresero senza lottare, mah! e la Resistenza francese?)
Dimenticavo, appena entrati nell'esposizione, la prima cosa che si vede è
Stalin che di fronte all'attacco tedesco tace per 11 giorni e solo il 3 luglio pronuncia il famoso discorso alla nazione che iniziava con "Fratelli e sorelle" invece che con il solito "Tovarišči". Stalin i cui discorsi nella Leningrado assediata provocavano morti inutili perché per non offuscare la sua santa voce venivano sospese le sirene degli allarmi aerei...
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