mercoledì 12 gennaio 2011

Ancora sulla stella di Pasternak. Storia dell'albero di Natale

L'albero in centro Mosca probabilmente nel 1937
Per capire meglio l'atmosfera che avvolgeva Pasternak, o meglio Živago, al lavoro sulla Stella di Natale, vale la pena ascoltare Evgenij Pasternak (il figlio di Boris) che nelle sue memorie scrive: "In quell'anno [1929] con un decreto ufficiale vennero bandite le celebrazioni per Capodanno e per Natale. Furono vietati gli alberi di Natale. Erano stati bollati come rimasugli religiosi e fatti oggetti di un deciso ostracismo. Era stato proibito anche il suono delle campane. All'improvviso Mosca venne immersa nello spaventevole suono del silenzio, tanto più straziante perché papà amava molto le feste natalizie che lo riportavano ai tempi dell'infanzia. Le chiese cominciarono a essere chiuse in massa e le campane vennero eliminate." (E.B. Pasternak, Ponjatoe i obretennoe [Ciò che ho compreso e fatto mio], Tri kvadrata, Moskva 2009, c. 364.

La storia delle campane farà drizzare le orecchie a tutti gli appassionati tarkovskijani. Ma non è di questo che vorrei parlare.
La tradizione dell'albero di Natale in Russia si era diffusa anche a livello popolare nei primi anni del Novecento. Con l'avvento dei bolscevichi e l'adozione del nuovo calendario (24 gennaio 1928) gregoriano (fino allora la Russia seguiva quello giuliano, rimasto in uso tutt'oggi per le Chiese ortodosse) tutte le date vennero spostate  di 13 giorni e così successe per le feste natalizie. Le nuove autorità sovietiche lasciarono in primo tempo tutto immutato e così fino al 1929 il 25 dicembre rimase un giorno festivo, celebratissimo in particolare nel periodo della NEP. Nel dicembre 1923, ad esempio, perfino nella tenuta Gorki, dove si trovava Lenin ormai mortalmente malato, venne fatto un bellissimo albero di Natale. 
Come ricorda E. Pasternak, però, nel gennaio 1929 venne emanato un decreto dal titolo "Sulle misure per l'intensificazione del lavoro antireligioso". Nell'anno della "grande svolta" (velikij perelom) fu tra l'altro adottata la "nepreryvka" (lett. "senza-interruzione"), una settimana costruita prima su 5 giorni, 4 di lavoro e 1 festivo, poi su 6, 5+1, dove i festivi erano fluidi, diversi ognuno dall'altro, la produzione non si fermava mai. Le famiglie e gli amici non si incontravano più. Alla fine, di fronte al disagio generale, vennero stabiliti giorni festivi fissi. Non la domenica, ma il 6, il 12, 18, 24 e 30 di ogni mese. Per tutti gli anni Trenta continuarono gli esperimenti finché nel 1940 con uno speciale ukaz del Presidio del Sovet Supremo si ripristinò la normale settimana di 48 ore lavorative con la domenica festiva. (La storia di ripete? Lo statalismo sovietico staliniano viene a toccarsi con il liberismo sfrenato dei nostri giorni? La smania di vendere-comprare 24 ore su 24 7 giorni su 7?) 
L'albero di Natale ebbe più o meno lo stesso destino. Era proibito e nella prima metà degli anni Trenta si sguinzagliarono gli scrittori e le pubblicazioni per bambini perché scrivessero opere anti-albero di Natale. Pericoloso retaggio antirivoluzionario, evidentemente. A. Vvedenskij su "Čiž" scriveva nel 1931: "Только тот, кто друг попов/ Елку праздновать готов" (Solo chi è amico del prete/E' pronto a festeggiar con l'abete). Asili e scuole che lo facevano erano multati. Addirittura gli entusiasti del Komsomol avevano l'autorizzazione a controllare gli appartamenti privati.
Non durò a lungo, l'abete ricco di aghi profumati e di promesse luminose venne riabilitato già nel 1935, quando comparve sulla "Pravda" un articolo del segretario del Comitato Centrale del partito comunista ucraino, P. Postyšev, che esortava: "Organizziamo un bell'albero per i nostri bambini". I bambini sovietici non dovevano essere privati di questa gioia e in ogni scuola, sede di Komsomol, cinema ecc, avrebbe dovuto esserci un bell'abete (elka). Messo fuori uso il Natale, l'albero fu associato al Capodanno, anche se il 1 gennaio  fu dichiarato festivo solo nel 1947.

L'immagine è tratta dal forum http://oldmos.ru/

2 commenti:

  1. Per fortuna i governi e le aberrazioni dei poteri forti di turno cadono e i simboli rimangono...
    In particolare addobbare l'albero fa parte di usanze e riti che precedono di molto anche le credenze cristiane in quanto il culto degli alberi risale a vari millenni ed appartiene a tanti ambiti religiosi, dai Celti ai Frigi ai Greci... Basti pensare al Pino di Attis!
    Addobbare un "Sempreverde" è intuitivamente il modo migliore per festeggiare il rinnovamento della vita e quindi della nuova Luce e del nuovo Anno.

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  2. Cara Marisa, tu riesci sempre ad allargare il campo e approfondire la visione. E allora non posso che risponderti con le parole di Enzo Bianchi che so che apprezzi.
    "E' dal IV secolo che i cristiani il 25 dicembre fanno memoria della Nascita di Gesù Cristo a Betlemme di Giudea: una data scelta perché in quel giorno il mondo romano celebrava e festeggiava il "sole invitto", il sole che in quel giorno terminava il suo progressivo declinare all'orizzonte e ricominciava a salire alto nel cielo, aumentando così la durata della luce alla terra. /.../ Questa inculturazione del cristianesimo non è stata facile e forse il Natale dei cristiani conservò, almeno per i più, qualcosa di pagano, di estraneo alla fede se papa Leone Magno nel V secolo doveva biasimare 'quei cristiani che prima di entrare nella basilica di San Pietro dopo aver salito la scalinata che porta all'atrio superiore si volgono verso il sole e piegano il capo in suo onore'! La meditazione cristiana faceva di quella festa la meditazione sull'incarnazione di Dio, il giorno in cui è avvenuto uno scambio: 'Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio'.
    Poi, nel II millennio, soprattutto n Occidente, la meditazione sul Natale si è progressivamente concentrata sul 'bambino Gesù', sulla sua umanità, sulla sua debolezza e sulla 'novità ordinaria' costituita dal venire al mondo di un uomo: l'evento non fu più letto tanto come manifestazione, venuta di Dio, quando come mistero della povertà, dell'umiltà, della debolezza di Dio. Francesco di Assisi seppe interpretare bene questo aspetto, creando il presepe di Greccio. /.../
    Nel Nord, invece, dove il sole non dà segni di vittoria nel gelido inverno, la festa è segnata da un albero, l'abete, evocazione dell'albero della vita: un albero che resta vivo e verde nel bianco della neve è il vincitore sul rigore del freddo nelle steppe brulle. Ecco allora l'albero vicino alle case e alle chiese, o addirittura allo loro interno, addobbato di colori e di luce, quasi obbligato a fiorire e a risplendere al cuore della notte invernale." Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, Torino 2008, pp. 79-81.

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