Venerdì scorso, nella Minsk vuota di ambasciatori UE e USA (chi a Vilnius, chi a Grodno), in assenza del suo grande (ex?) protettore Putin, per mano al piccolo Nikolaj e in un bielorusso un po' incerto, Aleksandr Lukašenko ha giurato fedeltà alla nazione e si insediato presidente della Bielorussia. Giubilo di popolo e plauso entusiasta di gerarchie ecclesiastiche (il discorso del metropolita Filaret, esarca di tutta la Bielorussia, supera ogni immaginazione). Tutto degno dei vecchi tempi sovietici, come degna di quei tempi è la lunga fila che si è formata davanti alla "Amerikanka", come viene chiamata la prigione del KGB a Minsk. Eh già, da quelle parti si chiama ancora così: se non ci credete potete anche telefonare. La fila è dei parenti degli arrestati per i fatti di metà dicembre (le proteste degli oppositori alle elezioni truccate) che cercano di trasmettere dei pacchi. Anche questo è tremendamente noto. Sospetti di torture con il freddo (celle gelate), 700 arrestati il 19 dicembre e trattenuti per 15 giorni, una trentina di imprigionati, giornalisti compresi, grazie a nuove più rigide legge sulle manifestazioni e sui "disordini di massa". In carcere sono finiti 5 dei 9 candidati alla presidenza, tra di essi vorrei citare il poeta Vladimir Nekljaev. Picchiato durante i disordini del 19 dicembre, Nekljaev (o meglio in bielorusso Uladimir Niaklaiev) si trovava in ospedale con la moglie e lì è stato rapito, portato all'Amerikanka, senza poter essere visitato da moglie e avvocati. Il 29 dicembre, secondo la testimonianza della moglie a Novaja Gazeta, ha avuto una crisi d'ipertensione, ma poi non si è saputo più nulla fino al 17 gennaio, quando la moglie ha ricevuto una lettera. Rischia dai 5 ai 15 anni. Qui l'appello degli slavisti italiani all'ambasciata bielorussa. Servirà?
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