Da sempre il grande Rembrandt ha mosso pensieri e riflessioni sulla questione dell'arte e del suo agognato o negato rapporto con la vita. Georg Simmel lo "adotta" come punto cospicuo del proprio pensiero insieme a Goethe e analizza tutta la storia dell'arte moderna a partire dalla sua opposizione all'arte classica.
Proprio riflettendo su Rembrandt Simmel tira le fila della sua meditazione sul tempo, sul movimento, sulla forma, sulla religione e sull’individuo, nel loro intreccio costituisce la sua peculiare Lebensphilosophie, la filosofia della vita per la quale la vita non è separata dai suoi stessi contenuti ma è il processo che scorre attraverso di essi, è la dinamica, il movimento che si realizza attraverso le loro opposizioni. In Rembrandt forma è il manifestarsi della vita nella sua individualità, mai separata dal contenuto, la forma è la logica del fenomeno.
Nell'arte classica la raffigurazione avveniva essenzialmente tramite l'astrazione, nell'evidenziazione del momento ideale che si sottrae alla vita che scorre; per Rembrandt, invece, ogni momento sembra contenere tutto il flusso, la vita nella sua pulsazione, racconta la storia del fluire. La totalità della vita è tutta in ogni suo attimo perché il suo fluire non è la somma meccanica di tutti i suoi momenti ma è lo scorrere incessante in tutte le sue metamorfosi. L'essenza del movimento di Rembrandt, così, è quella di far sentire l'intera successione dei suoi momenti nell'unicità di un solo attimo.
Ecco allora la particolarità dei ritratti rembrandtiani. La comprensione della persona non si attua in lui nella rimozione della sequenza temporale ma nell'immersione nella vita profonda, senza il riserbo e l'enigmaticità del ritratto classico. Non a caso i ritratti di Rembrandt più intensi sono quelli di vecchi, perché in loro la storia, il tempo si è accumulato, c'è il massimo di vita possibile sintetizzato; i ritratti di giovani, come Tito, invece, sono una sorta di inversione perché ci proiettano nella loro vita futura. Centrale a questo proposito è la questione dell'espressione della spiritualità tramite la fisicità:
“Infatti questa rappresentazione è una rappresentazione sensibile-spaziale, un mero ordinamento di colori che ricevono un senso per noi solo perché esprimono un elemento spirituale, universale o individualizzato. Ma, per conoscerlo, non abbiamo altro materiale e altro appiglio che non sia la visibilità corporea data. Tuttavia il circolo non appare insolubile perché si basa soltanto sulla premessa, per nulla indiscutibile che l'elemento spirituale di un fenomeno umano ci divenga accessibile in modo completamente separato e diverso dall'elemento corporeo.” (G. Simmel Rembrandt, in Il volto e il ritratto, Il Mulino, Bologna 1985, pp. 147-148.
Ecco perché il movimento, il divenire è tanto importante, perché è una vita intera che permea il corporeo e spirituale.
“...proprio l'arte struttura il fenomeno umano in modo tale che il dualismo dell'apprendere fisico e spirituale, della percezione e della spiegazione, in cui spesso l'insufficiente rapporto dell'osservatore con l'osservato dilata e scompone l'osservazione, svanisce. Il circolo che minacciava la comprensione del ritratto: la necessità di spiegare il fenomeno corporeo dell'uomo a partire dalla sua realtà spirituale, ma la possibilità di giungere a questa unicamente a partire da quello che solo ci si offre immediatamente, non è altro che l'espressione del fatto che in questo caso esiste un'unità dell'essere e una corrispondente unità del percepire.” (Ibidem, pp 149-150).
Come diceva Goethe, insomma, “Non c’è nulla nella pelle che non sia nelle ossa”.
Su questo meditava Simmel un centinaio di anni fa. Ora Rembrandt catalizza l'attenzione e la riflessione sul maledetto crocicchio di arte e vita di Tzvetan Todorov in un saggio L'arte o la vita! (Donzelli Editori) di cui qui possiamo leggere un'anticipazione uscita su "Repubblica" il 5 settembre.
Su Rembrandt, sulla sua vita e sulla sua arte, c'è un bel film, lento, fisso sui volti e sugli oggetti, del regista olandese Jos Stelling (mai uscito in Italia a quanto mi risulta), Rembrandt fecit 1669.
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