Faccio tesoro di tutti i
grandi studi, Ivanov e Bachtin in primis, li riassumo e in uno
sforzo di sintesi definisco i Fratelli Karamazov un romanzo che
straborda dal genere romanzesco, interpretando in tal modo, la
vocazione prima del genere-romanzo, quella della contaminazione e
dell'uscita dai propri limiti. Per estensione analogica,
interpretando la vocazione prima della letteratura e dell'arte
stesse, quella di uscire dai propri confini e di essere più di se
stesse. E, continuando di estensione in estensione, è l'uomo che non
coincide mai con se stesso (Pavel Florenskij).
Dopo aver dichiarato tutta la sua
perplessità sull'utilità delle introduzioni, l'incerto e dubitoso
narratore infila subito le perline più preziose della sua collana
romanzesca: la questione dell'eroe e dell'eroe buono, cioè il
problema del Bene e della sua capacità di incidere nella realtà,
l'attualità e la situazione precisa del "nostro tempo" e
della Russia in particolare.
Cominciando la descrizione
della vita del mio eroe, Aleksej Fedorovič Karamazov, mi
trovo un po' in imbarazzo...
La descrizione della vita... non la
biografia. Dostoevskij svolta subito la curva della letteratura e
finisce nel fosso di qualcos'altro. Žizneopisanie
al posto del più normale "biografija" ci
ribalta nella sfera della vita, anzi, delle Vite..., le agiografie
dei santi. Il romanzo che stiamo leggendo si rivelerà presto una
membrana sottile che contiene a malapena, rischiando continuamente di
lacerarsi, inserti spuri: agiografie, apologhi, sermoni, passioni...
Dostoevskij ci avvisa ed è un po' imbarazzato di questo esercizio di
cammuffamento che la sua arte lo costringe a fare.
adoro questo libro!
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