martedì 26 giugno 2012

Bulatov, la pop art e il costruttivismo


Gloria al PCUS

Ancora su Bulatov e sulle sue nuvole. In una recente conferenza (che si può ascoltare sul sito di Snob.ru) l'artista afferma che "il quadro è quello strano oggetto che fin dall'inizio possiede dei caratteri propri: è dotato di una superficie piatta e al tempo stesso di uno spazio. E' evidente che basta tracciare l'orizzonte al centro del quadro per scinderlo immediatamente in sotto e sopra. L'orizzonte trasforma il sotto in un piano orizzontale che fugge verso l'alto, nella profondità dello spazio. Risulta che letteralmente ogni punto della superficie contiene un tipo definito di energia, ogni volta diverso: quanto più vicino al centro del quadro e tanto maggiore è la possibilità di movimento in profondità. Man mano che ci si avvicina al bordo aumenta invece la possibilità di movimento in superficie".
A guardare i suoi quadri è quasi scontato pensare alla pop art americana. Ma se gratti un russo non viene fuori solo un tataro come diceva Napoleone, sgorga anche una passione ontologica per la realtà che stupefacentemente sfida ogni astruseria postmodernista.
Nella conferenza di cui sopra Bulatov ne parla esplicitamente e dice che a un certo punto ha scoperto la pop art come un alleato. Proprio quando loro, i giovani concettualisti moscoviti, hanno cominciato ad occuparsi della realtà seconda che circonda (e che determina, aggiungo io) l'uomo moderno. La realtà dell'ideologia e della propaganda, per loro che vivevano in Unione Sovietica, quella della pubblicità e della minuta costruzione del mondo patinato e plastificato funzionale alla società dei consumi, per i loro "alleati" occidentali.
Alleati ma anche nemici, dice Bulatov. Inimicizia, usa proprio questa parola. Perché, esito conseguente di tutti i sospetti e di tutte le dissoluzioni della modernità, la pop art considera questa "seconda realtà", la realtà fittizia che ci avvolge e spinge per definirci, non come seconda ma come prima, unica e desolatamente unica. Per Bulatov, invece, non è così:"Mi sono sempre posto la domanda su come ci si possa liberare da questa realtà. Esiste e io voglio esprimerla, ma esprimere la sua limitatezza, le sue caratteristiche, la possibilità o l'impossibilità di balzar fuori dai suoi confini."
Allora quelle sue nuvole che tanto ricordano Magritte crescono e veleggiano in senso opposto a quelle del grande artista belga? Non ci trasportano nel regno surreale del sogno e delle azzurre profondità della nostra psiche, ma sono un segno della realtà, quella vera (ma che esisterà davvero o svanirà subito in un turbinio di vapori?). I nostri dentro e fuori non sono contrapposti/opposti o separati da un limite valicabile solo a condizioni speciali (arte/sogno). Nella loro autenticità sono uniti, invece, nella contrapposizione a questa falsa realtà, ossimoro dolorosamente valido e non solo nella sua declinazione più minacciosa ed evidente, quella dell'ideologia.
Come nell'opera Gloria al PCUS, dove le monumentali parole KPSS (Komunističeskaja Partija Sovetskogo Sojuza) schermano e allontanano il cielo nella loro aggressiva presa sullo spazio e su di noi. O il precedente Striscia rossa: due quadri in uno, in realtà. In uno il paesaggio, la gente, il cielo e nell'altro una striscia rossa che scherma l'orizzonte, o meglio, ed è più inquietante, che si fa essa stessa orizzonte. Bulatov nota che se ci fosse solo questa striscia rossa su di un foglio bianco sarebbe pop art. E invece proprio per questo scontro della striscia con lo spazio reale si tratta di un quadro anti-popart. Perché afferma l'esistenza di un mondo vero non risolvibile tutto nella fiction o nella serie infinita di rimandi evanescenti o costruiti di un discorso impersonale e potente.
"La striscia rossa non è necessaria per il quadro, non ha alcuna relazione con il paesaggio, ma ne ha una diretta con la vita di chi guarda il quadro". 


Bulatov racconta del suo rapporto con il costruttivismo. Va proprio ascoltato, perché in quelle parole e nei suoi rilievi così tecnici, corre il discrimine tra due diversi atteggiamenti fondamentali nei confronti dell'arte e della realtà che io definirei aiutandomi con due periodi diversi usati come simbolo di due sensibilità: gli anni Dieci e gli anni Venti. Parole chiave dell'uno ricettività, composizione, artista come sacerdote; dell'altro attività, costruzione, artista come demiurgo. Simbolismo versus futurismo/formalismo. Florenskij versus Malevič (o forse azzardo troppo?).
Ecco cosa dice (e teniamoci in mente che si sente discepolo di Favorskij, compagno di tante avventure florenskijane). Benché si senta vicino al costruttivismo, ci tiene a sottolineare alcune differenze. In primo luogo per lui il punto focale è l'orizzonte, mentre per i costruttivismo esso quasi non esiste, lo negano e cercano di liberarsene, quasi sentendolo una limitazione cogente nello spazio. Per Bulatov, invece, esso è un'indicazione circa il posto che l'uomo occupa nello spazio. Per questo chi guarda il quadro è sempre guidato al centro del quadro, sull'orizzonte. In secondo luogo, i costruttivisti si rivolgono sempre al fruitore della loro opera, dal quale esigono qualcosa. Bulatov evita di farlo, non si rivolge mai agli spettatori perché essi non sono una controparte e perché egli si pone in mezzo a loro. L'interlocutore non è lo spettatore ma il quadro stesso, a cui l'artista pone le domande che gli premono e che gli risponde, lo guida nella comprensione.



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