Come i Fratelli Karamazov, anche il Dottor Živago è un romanzo pasquale. Si potrebbe tracciare una storia della letteratura sub specie Pasquae. E ci entrerebbero tanti autori, anche agnostici, come Čechov.
Nel XV capitolo
della parte VI, Jurij Živago si ammala di febbre tifoidea e scrive un
poema Smarrimento (che
poi non ritroveremo nelle poesie, anche se una di loro tratta un po' dello stesso tema, Nella Settimana della Passione). Si tratta di una poesia nata dal delirio, non sulla risurrezione, non sulla
deposizione dalla croce, ma sui tre giorni in mezzo tra l'una e l'altra.
Nel suo testo
immaginato, solo raccontato, datoci in absentia, troveremo immagini forti degli elementi e della materia primigenia della vita: acqua e terra che si impastano nel nascosto mistero della vita che muore e rinasce. La bufera di terra nera verminosa (ma come, in Russia le bufere non erano tutte di neve a confonderti con il loro candore di ghiaccio?) e le onde della risacca che seppelliscono le spiagge creano l'immagine di questi versi inesistenti attraverso un ritmo incalzante che sorregge la prosa.
Rimane uno scampolo di questo liminare andirivieni sul ciglio non così netto di morte e vita: il
ritornello di due versetti rimati che lo perseguitano e che si trascinano dietro un grumo di immagini che ritroveremo poi in altre poesie di Živago, queste sì scritte e presentate al lettore. E i versi ci dicono che la Resurrezione non accade semplicemente, ma è legata a un atto consapevole di volontà. Bisogna risorgere. Nella vita di ogni giorno, nella sua primavera, come la Maria Maddalena (per Pasternak inevitabilmente associata alla figura di Marina Cvetaeva).
"Scrive
con ardore e insolita facilità quello che aveva sempre voluto e da
tempo dovuto scrivere, ma non era mai stato in grado di fare, mentre
adesso invece gli riesce. E solo a volte lo disturba un ragazzo con
stretti occhi kirghizi e indosso una rigida pelliccia di renna, di
quelle che si portano in Siberia o sugli Urali.
Era
assolutamente evidente che quel ragazzo ero lo spirito della sua
morte o, diciamolo semplicemente, la sua morte. Ma come poteva mai
essere la sua morte se lo aiutava a scrivere il poema, come se
potesse venire un giovamento dalla morte, come se la morte potesse
essere d'aiuto?
Non
scrive un poema sulla resurrezione o sulla deposizione nella tomba,
ma sui giorni che intercorrono tra l'una e l'altra. Scrive il poema Smarrimento.
Aveva
sempre voluto scrivere di come, nel corso di tre giorni, la bufera di
nera terra verminosa avesse assediato, assalito l'immortale
incarnazione dell'amore, gettandogli addosso le sue zolle e il suo
fango, esattamente come fanno le onde della risacca quando piombano
sullo slancio e seppelliscono sotto di loro le spiagge. Così per tre
giorni infuria, incalza e si tira indietro la nera bufera di terra.
E
due versetti rimati lo perseguitavano:
Felici
di sfiorare
e
Ci
si deve risvegliare
Felici
di sfiorare sono l'inferno, e la decomposizione, e la
putrefazione, e la morte e, tuttavia, assieme a loro, felice di
sfiorare è anche la primavera, e Maddalena, e la vita. E ci si
deve risvegliare. Ci si deve risvegliare e alzare in piedi. Si
deve risorgere."
trad.
di Serena Prina modificata.
La discesa agli Inferi è un motivo ricorrente dell'immaginario religioso russo ma va ricordato che negli anni in cui Pasternak componeva Živago, il grande traduttore di Dante in Russia, Ložinskij, a lui molto vicino, riceveva il premio Stalin per la sua versione della Divina Commedia (1949). Poi, come sempre in Pasternak, i diversi piani si riflettono l'uno nell'altro e la riflessione sulle profondità dell'essere e del non essere nasconde anche un
richiamo a una dimensione storica precisa. E allora i tre giorni nel
grembo della terra, i tre giorni prima della Resurrezione, sono anche
un'allusione alla situazione della Russia in cui lo scrittore viveva, dopo la Rivoluzione e nel periodo staliniano.
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