"Abbiamo appena
accompagnato in carrozza fino alla porta Serpuchovskaja papà, Kolja
Ge e Stachovič: sono partiti a piedi per Jasnaja. Il tempo è
meraviglioso. Scende una leggera pioggerellina, ma fa quasi caldo, si
sono messi il paltò leggero".
Così scriveva Tat'jana
Tolstaja un venerdì mattina di inizio aprile nel suo diario. Era il
1886 e il cinquantottenne Tolstoj si era messo in viaggio per la sua
casa di Jasnaja Poljana, la Radura Luminosa. Erano quasi duecento
kilometri da Mosca, per la disperazione di sua moglie, l'apprensiva
Sof'ja Andreevna che non dormiva alla notte per quei paltò leggeri:
si era messo anche a nevicare, si era alzato un vento gelido e poi:
"Certo, lo capisco anch'io: raccogliere impressioni e aria
fresche; ma tutto sommato questa vana perdita di energie e di tempo
(che non basta mai, qualsiasi cosa si faccia) è fatale"
(lettera di Sof'ja del 9 aprile).
Tolstoj lo sapeva bene e,
durante quel viaggio che durò sei giorni, le scrisse quasi
quotidiamente, minimizzando le difficoltà e raccontandole quel che
succedeva. Era un po' laconico, per la verità: "Poche parole da
Podol'sk non mi hanno assolutamente tranquilizzata: vi siete bagnati,
siete stanchi, dove avete passato la notte: non se ne sa niente"
(lettera di Sof'ja del 7 aprile).
Lev Nikolaevič riassunse tutto alla fine
del viaggio, alle undici di sera del 9 aprile, ormai a Jasnaja.
"La sola cosa che mi
dispiace è che tu ti sia preoccupata e tutto per niente. Abbiamo
viaggiato benissimo. Come del resto mi aspettavo, mi è rimasto
quello che è uno dei più bei ricordi della mia vita. Dall'inizio
alla fine mi sono sentito meglio che a Mosca quanto a salute, sono
stato in perfetta forma. Non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Noi
siamo come chi, stando sulla terraferma, si immagina di essere su di
un'isola con il mare tutt'intorno. Così siamo noi sparapanzati in
città, con tutte le nostre comodità. Ma se solo vai per questo
mare, scopri che esso è una terraferma e ancorché meravigliosa. Io
e Količka (lui andava sempre avanti per primo, io venivo per
secondo, subito dopo lui, Stach, invece, era un po' deboluccio)
dicevamo che è stato uno dei momenti più istruttivi e felici della
nostra vita: non abbiamo visto altro che affetto e benevolenza e noi
stessi eravamo ben disposti.
Ci siamo nutriti a tè,
pane e due volte minestra di cavoli e ci siamo sentiti baldanzosi e
in salute. Abbiamo passato una notte in dodici in un'isba e abbiamo
dormito benissimo. Io mi addormentavo tardi, ma in compenso non siamo
mai usciti tanto presto. Lungo la strada abbiamo preso il treno due
volte, per venticinque verste."
Era partito con poche
cose, ma in particolare con oggettino prezioso, regalatogli dalla governante
francese: "Ringrazio M-me Seuron per il blocchetto e la matita,
li ho usati un po' per i racconti di un vecchio soldato di 95 anni da
cui abbiamo passato la notte. Mi sono venuti vari pensieri che ho
annotato".
Infatti, come aveva
scritto a Čertkov (il primo dei tolstojani) la sera prima della
partenza: "Vado soprattutto per riposarmi della vita nel lusso e
almeno un poco prendere parte a quella autentica". E la vita
autentica gli offrì riposo per la mente e il cuore, ma anche una
nuova storia, quella del soldato che in prossimità della morte
ripensa agli orrori commessi durante il suo servizio e non riesce a
prender sonno. Gli appunti del suo blocchetto di viaggio gli
serviranno per un saggio, Nikolaj Palkin, troppo duro con la violenza
di Stato per essere pubblicato in Russia.
Accompagnavano Tolstoj
due ragazzi ventenni: il figlio del suo amico Nikolaj Ge, il grande
pittore che, oltre a ritrarlo, condivise molte delle sue ricerche
religiose e Stachovič, futuro giurista. Alla fine del viaggio gli
spediranno in treno altri due ragazzetti: Lelja (il piccolo Lev, suo
figlio) e Alcide, il figlio della governante. E' bello pensare a
Tolstoj maturo che si mette in viaggio non con dei paludati
intellettuali con cui argomentare e pontificare, ma con dei
giovanotti che si lamentavano del mal di piedi o che parlavano
entusiasti del senso della vita.
Ecco qualche altro
stralcio dalle lettere alla moglie:
"Le dieci del
mattino, a Podol'sk. Abbiamo dormito e ci siamo incamminati in salute
e allegri. Stach aveva male ai piedi e сi sta raggiungendo con
qualche mezzo. Aspetto una lettera a Serpuchov. Un bacio a tutti.
Abbiamo già un compagno fedele: un contadinotto." (5 aprile da
Podol'sk)
"Ti scrivo da un
villaggio a venticinque verste da Serpuchov. E' l'una di pomeriggio,
domenica. Siamo allegri e in salute. Quel contadino, il nostro
compagno Makej, 60 anni, è più giovane di tutti noi, ha camminato
con noi per cinquanta verste, imbroglicchia, e in genere è un
furbone di tre cotte. Abbiamo dimenticato il cucchiaino di Kolja; lui
voleva prenderlo al ritorno. E' andato a piedi a Mosca otto volte.
Come state? Voglia Iddio bene. I miei compagni di viaggio porgono i
loro omaggi. Stiamo molto bene." (6 aprile)
"Ieri era domenica,
alle dieci ci siamo messi in cammino non senza stanchezza, ma la
strada per Serpuchov è stata molto piacevole. Stach è andato avanti
in treno e lo abbiamo ritrovato da Treskin. Ci hanno ospitati,
preparato un letto, dato da mangiare e da bere. Ci siamo congelati,
anche se le ultime sette verste le abbiamo fatte in treno. Ma non si
è ammalato nessuno. Ho ricevuto la tua lettera: ne sono stato molto
contento. Stach ha viaggiato sullo stesso treno di Lelja e Alkid ma
non li ha visti. Ma poi Treskin è andato a prenderli. Ti scriverò
ancora prima di Tula. Omaggi dai compagni di viaggio." (7
aprile)
Tolstoj rifece questo
viaggio, umile e pensieroso, altre due volte: nel 1888 e nel 1889.
Il verso del titolo
viene da questa poesia di Puškin.
L'immagine via ria novosti (www.ria.ru)
dedico queste righe alla mia amata Selma Ancira. Jasnaja Poljana è jasnaja anche grazie a lei.
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