Il
mitico
compleanno di Anna Achmatova
«E
io sono nata, peraltro, come ci si doveva aspettare, nella notte di
San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno» (Taccuini)
Anna
Achmatova nacque l'11 giugno 1889, secondo il vecchio stile, il
calendario giuliano, usato tuttora dalla Chiesa Ortodossa. Quel
giorno si festeggiano i Santi Apostoli Bartolomeo e Barnaba. Santi
rispettabili, certo, ma poco poetici.
Ma
Anna Andreevna non si lascia scoraggiare da ininfluenti particolari e
si ritaglia su misura il compleanno giusto, la notte di San Giovanni,
notte di malie, incantesimi e vaghe promesse di fecondo futuro.
Perché, se tramutiamo l'11 giugno dell'Ottocento nel calendario
gregoriano, risulta proprio il 23 giugno. Poco importa se le feste
religiose seguono sempre il calendario giuliano e quindi quella di
San Giovanni cade tra il 6 e il 7 luglio. Licenza poetica: il poeta
si forgia da sé la propria biografia, infilando la propria
immaginazione come un coltellino che fa forza e allarga una fessura
del tempo, nelle pieghe e nelle incongruenze dei calendari.
La
festa di San Giovanni è speciale in tutte le tradizioni, non per
niente se n'è impossessata anche la massoneria. E' una festa che
risulta da una complessa stratificazione nel processo di
cristianizzazione. In Russia il giorno di Giovanni il Battista si
incrosta sulla antica festa slava dedicata al dio pagano Kupala, la
notte più breve dell'anno. Notte di riti e sortilegi, legati ai
principi primi della materia, l'acqua, il fuoco e le erbe (non per
niente anche a Parma si fanno i tortelli alle erbette, che devono
essere irrorati della rugiada di questa notte, tanto benifica).
Bagni
rituali (ma a volte pericolosi, perché nella notte si svegliano
anche le forze impure) rivisti poi nel Battesimo del Battista, falò
purificatori, attorno a cui si danza e si salta, erbe curative,
potenziate dalla rugiada e utili a scacciare demoni e malattie.
E, infatti,
la fattucchiera Achmatova riempie le sue poesie di erbette ed erbacce:
basta gigli, rose e viole, è il momento di bardane, convolvolo e
ortiche. Lo aveva capito fin dall'inizio Cvetaeva, che Anna era una
strega, una Cassandra veggente che strologava sventure.
O
musa del pianto, la più bella tra le muse!
O
tu, rampollo forsennato della notte bianca!
Tu
scagli una nera tormenta sulla Russia,
e
le tue grida ci trafiggono come frecce.
E
noi ci scansiamo, e un sordo “Oh!”
Centomila
volte ripetuto, leva a te giuramento, Anna
Achmatova!
questo nome è un enorme sospiro,
E
cade nel profondo senza nome.
Per
noi è un privilegio calpestare
la
tua stessa terra, lo stesso cielo sopra di noi!
E
colui che è stato ferito dal tuo destino di mortale
si
avvia già immortale al suo letto di morte.
Nella
mia città che canta le cupole sono in fiamme,
il
vagabondo cieco loda il Santo Salvatore...
E
io ti faccio dono della mia città di campane,
Achmatova!
E il mio cuore in sovrappiù.
Marina
Cvetaeva, 1916
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