Michail
Kuzmin, altro poeta della variegata galassia che non saprei definire
se non “postsimbolista”, chissà perché scrisse la prefazione di
Večer,
La sera, la prima raccolta di Achmatova. E la scrive così bene che
cinquant'anni dopo Anna Andreevna notò che avrebbe potuto essere una
introduzione perfetta per la sua grande opera della maturità, il
Poema
senz'eroe.
Cosa aveva mai detto, quell'astuto volpone (non per altro vien
chiamato Cagliostro), di fronte alla ragazzetta e a una manciata di
poesie d'amore?
Innanzittutto, è il primo a notare l'acutezza di
Achmatova, l'ostratà,
la densissima concentrazione psicologico del vissuto, che poi
diventerà un luogo comune in tutte le letture achmatoviane. Ma la
cosa più interessante è che Kuzmin suggerisce fin da ora la
motivazione della precisione del dettaglio achmatoviano che penetra
nel nostro cervello affilato come un bisturi. E' il rispetto e la
cura del mondo: la capacità dell'uomo che si scopre mortale e sa
guardare il mondo come se fosse l'ultimo minuto.
E il ragazzo che suona il piffero,
E la bimba che intreccia la corona,
E i due sentieri crocicchio nel bosco,
E nel campo lontano lontana la
fiammella.
Io vedo tutto. Io tutto ricordo,
Con mite amore serbo in cuore.
Una cosa sola io non so mai,
Perfino ricordarla non riesco più.
Io non chiedo né forza né saggezza.
Oh fatemi solo scaldare alla fiamma!
Ho freddo! Alato o senz'ali,
Non mi visiterà il gaio dio.
Leggiamola,
allora questa prima poesia di
La sera,
davvero un denso manifesto della poetica achmatoviana. Inizia come un
idillio, un quadretto contadino, un'immagine miniata (tutti quei
diminutivi che danno l'impressione di una fiaba). Il ritmo
paratattico è quello di una canzone del folclore.
Ma
dopo la prima quartina, il tono cambia e la descrizione cede il posto
a una riflessione metapoetica, una sorta di motto: Io vedo tutto, io
tutto ricordo/ Con mite amore serbo in cuore...
Il
tema della memoria sarà fondamentale per la tarda Achmatova, ma
nasce qui. Vuol dire che è congenito. Posto con forza, è motivato
dalla cura, mite e amorevole, per il mondo. Anche se fa freddo, anche
se quell'amore sarà infelice e senza risposta (altro tema
ricorrente), perché non c'è più freccia più pericolosa del dardo
d'amore spuntato, non c'è dio più terribile di Cupido rimasto
senz'ali.
Il disegno è di Modigliani e data lo stesso anno della poesia, 1911 (via wikiart)
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