Fazil'
Iskander: la letteratura russa canta l'Abchasia
La
biografia di Fazil' Iskander è composita e reca in sé le tracce
delle complicate politiche sovietiche sulle nazionalità. Lo
scrittore nasce nel 1929 a Suchumi e da piccolo perde il padre che
nel 1938 viene espulso dall'URSS per la sua origine iraniana.
Tra
il 1937 e il 1938, infatti, era stata attuata una "repressione
per linea nazionale". Si trattava di una campagna di repressione
di massa ai danni di persone di nazionalità non sovietica (polacchi,
finlandesi, iraniani, cinesi, ma anche italiani, americani...) con il
pretesto di combattere le spie capitaliste. Dall'agosto 1937 al
novembre 38 vengono coinvolte 335.513 persone, di cui il 73,66%
fucilati, mentre altri deportati ed espulsi. Gli iraniani vengono
coinvolti nel gennaio 1938 con tanto di decreto ufficiale dell'NKVD
(Chlevnjuk, 2000, pp.
162-163).
Quindi
Fazil' viene cresciuto dalla famiglia abchasa della madre. Nel 1948
va a Mosca a studiare, prima biblioteconomia e poi dell'Istituto
Gor'kij della Letteratura Mondiale, dove sii laurea nel 1954.
Comincia a lavorare come consulente letterario per varie testate
locali e a pubblicare racconti dal 1952.
All'apparenza,
dunque, questo è un esempio di una fortunata e libera
russificazione, che ha comportato anche l'assimilazione dei valori di
libertà della cultura altra assimilata, comprese le sue istanze
liberali e, quindi, anche una posizione di moderato dissenso, come
l'episodio della pubblicazione all'estero della versione completa di
Sandro da Čegem dimostra.
Eppure,
è il tema della catastrofica frattura tra il mondo patriarcale della
periferia e quello sovietico della metropoli-capitale che affiora in
tutte le opere di Iskander. Dall'interno egli descrive un'alterità
totale. Non si tratta di antisovietismo o di dissenso. La frattura
viene prima. Il mondo che egli descrive non sembra essere toccato
dalla modernità con i suoi assetti politici. Essa rimane
irrilevante, come anche ideologie e religioni. Ebraismo,
cristianesimo, islam o marxismo sovietico sono quasi impotenti di
fronte a un mondo che è regolato da leggi antichissime, da
una forte tradizione orale e una sorta di animismo pagano, la cui
impenetrabilità è simboleggiata anche da una lingua intraducibile,
dalla morfologia e fonetica complessa, solo evocata da lontano e mai
realizzata.
E' tutta
una vita che Iskander mette insieme opposti inconciliabili: i monti
del villaggio da cui è partita la sua famiglia con il mare
trafficato di Suchum, la città dove è nato e ha vissuto infanzia e
giovinezza e che nella sua prosa chiama Muchus, al contrario; il
calore esuberante del Sud caucasico e il rigore introverso del Nord
russo; il senso inalienabile del propria indipendenza e le
ineludibili regole sovietiche; la grande tradizione letteraria russa
(Gogol' per la capacità di raffigurare il tragico con il comico) con
la sua passione etica e le saghe di un popolo perennemente in lotta
per la sopravvivenza; la scrittura ricca di citazioni letterarie e la
viva voce dei racconti nel cortile.
Iskander
scrive con un'ironia bonaria e una comicità straniata a tratti tinta
di grottesco gogoliano, ma il racconto del mondo abcaso diventa uno
spazio privilegiato che permette di mantenere vivo il legame con
un'interiorità dalla forte connotazione etica, che inevitabilmente
esprime un giudizio nei confronti del contesto sociale in cui la
propria identità nazionale si è andata sviluppando.
L'identità nazionale sembra
non essere un problema politico per Iskander (e questo gli ha
permesso di vivere in Unione Sovietica in modo accettabile,
probabilmente), ma è una sorta 'soggettività collettiva', dotata di
una memoria ostinata che si interroga sulla Storia e che cerca sfogo
in un fermento che ha poche armi: le piccole storie, gli aneddoti
tramandati, la vivacità linguistica, l'arguzia popolare. Dal suo
cortile questa soggettività collettiva è in grado di riscrivere a
suo modo la Storia e di opporsi alla visione statica e stereotipata
ufficiale.
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