ancora dalle illustrazioni di Vrubel' per Mozart e Salieri |
Sono due scene laconiche e
stringate, visione concentrata: Puškin usa nell'azione scenica tutta
l'esperienza fatta nel poema romantico di tipo byroniano (elusività,
discorso ellittico): niente è casuale, ogni minimo dettaglio è
funzionale alla resa drammatica e alla realizzazione di un
significato che viene piano piano a sedimentarsi nel lettore o nello
spettatore grazie a un processo di ricostruzione anche sulla base dei
vuoti lasciati dall'autore.
Ad
esempio, i riferimenti a personaggi come Glück,
Beaumarchais, Raffaello, Dante e Michelangelo non descrivono solo
l'ambiente in cui si muovono i protagonisti, ma anche trascinano
nella pièce
tutta una serie di problematiche e di atmosfere (l'Arte,
naturalmente, sempre l'Arte). E' chiaro che siamo di fronte non a un
dramma storico o biografico, bensì a un'opera simbolica.
Niente
è casuale e lineare, tutto ha un doppio fondo: Beaumarchais è
citato inizialmente per l'esortazione a bere un buon vino, ma in
realtà certo perché sospettato di aver anche lui usato il veleno,
quindi introduce il tema del veleno, ma è anche l'autore da cui
Mozart ha tratto le sue amate Nozze
di Figaro,
è nell'immaginario puškiniano una natura solare come Mozart, quindi
nell'economia dell'opera è eco e ampliamento del tema dell'eroe (ma
anche allude problematicamente all'antieroe). Beaumarchais,
tuttavia, ha avuto una vicenda di gelosia e invidia con Voltaire che
tra l'altro in una lettera scrive di lui proprio quello che di lui
dice Salieri nella nostra tragedia: è un tipo troppo ameno (un
homme si drôle,
смешной)
e, continuando con l'intrico di riferimenti, Beaumarchais è anche
l'autore del libretto dell'opera di Salieri Tarare,
citata dal Mozart puškinano.
O ancora Ifigenia (in Tauride),
citata da Salieri, è sicuramente l'opera di (1779), il maestro di
Salieri, ma può essere anche quella omonima di Piccinni (1781), il
suo avversario, oppure il mito di Ifigenia viene tirato in ballo
nella tragedia per evocare il sacrificio totale richiesto dall'Arte,
secondo la visione di Salieri.
Un
ultimo particolare: la seconda scena, scena di morte, soffusa tutta
di presagi e di visioni sepolcrali, è ambientata nella trattoria Il
leone d'oro.
Immagine solare dell'oro o suggerimento inquietante? Pensiamo al
complesso significato simbolico del leone. Potenza, sovranità, sole,
oro, forza penetrante della luce e del verbo. Nel medioevo
soprattutto simbolo cristico (Leone di Giuda), simbolo di giustizia
(leoni del trono di Salomone e dei re di Francia), Cristo giudice,
Cristo dottore, il rotolo (San Marco), custode del trono legato
all'idea della resurrezione.
Ma
nessun simbolo che si rispetti ha un lato solo: lato oscuro, forza
istintiva incontrollabile, appetiti oscuri, custode del trono ma
anche di quello dell'inferno. E proprio nel Requiem
l'immagine
del leone appare come attributo dell'inferno Libera
eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus (dall'Offertorium).
O o o. La pregnanza dell'opera
puškiniana sostituisce alla logica razionale dell'aut aut
quella simbolica dell'et et. Queste cose sono tutte vere
contemporaneamente ed è per questo che il testo diventa
polisemantico.
Dunque, la struttura (simmetrica e
inversa) è significante, non è un fatto formale, ma è inscindibile
dal contenuto, in primo luogo con la contrapposizione dei due
caratteri nella circolarità vizioso del loro rapporto.
E
così l'incipit con la sconsolata recriminazione di Salieri sulla
giustizia-verità (pravda) "tutti dicono che ...né
in cielo né in terra" si richiama alla verità sommessamente
più volte proferita da Mozart (non è vero?) del genio e
delitto ***
Anche
Raffaello fa la sua comparsa nell'opera, per la verità in modo un
po' sghembo nelle parole sprezzanti di Salieri (non posso sopportare*
cit. p. 100). Appare, dunque, con la Madonna Sistina, un'opera che
nella cultura ha assunto fin dal primo Ottocento il significato della
Bellezza più pura, di una rara epifania, visione di grazia concessa
solo sporadicamente all'arte.
Un
giovane amico di Puškin dei tempi del liceo, il poeta Kjuchel'beker
descrive con queste parole l'esperienza da lui vissuta dinanzi al
quadro di Raffaello:
"Siamo
alle porte del Santo dei Santi; [...]. Il senso del quadro di
Raffaello è semplice: forse che in esso c'è qualcosa di insolito?
La Madonna di Raffaello discende sulla nuvola con il suo divino
Bambino [...]. Una cortina verde è sollevata ai due lati e tutto il
cielo è composto di un numero infinito di teste di cherubini,
ciascuno dei quali è un'immaginetta, ciascuno dei quali porta
l'impronta della perfezione, ma un misterioso tremore ha invaso la
mia anima! Dinanzi a me era una visione non terrena: una celeste
purezza, una eterna, divina quiete era sulla fronte del Bambino e
della Vergine; essi mi hanno riempito di timore: posso guardare a
loro io, schiavo delle passioni e dei desideri? Ma ecco, la mitezza,
una meravigliosa mitezza sulle labbra della Madre richiamò i miei
sguardi: non sarei stato capace di staccarmi da questa visione, anche
se un fulmine celeste fosse stato pronto a distruggermi, indegno!
Guardate, essa trasforma tutto intorno a sé! [...] Non sono qui in
grado di descrivere i pensieri e le fantasie che illuminarono e
scaldarono la mia anima quando guardavo quest'unica Madre di Dio, ma
mi sono sentito migliore ogni volta che di là me ne tornavo a casa.
Ho visto molte immagini di fanciulle pure, di madri tenere e amorose;
nei loro occhi la fede, l'ispirazione, il dolore, sì? che ero pronto
a esclamare: indicibile! Mi dissero: sono raffigurazioni della
Madonna. Ma questa sola è apparsa a Raffaello" (cito dal saggio
di Alda Gallerano sulla Madonna Sistina in Russia).
O
ancora Žukovskij, grande poeta e mentore di Puškin, sembra
anticipare l'intuizione del Mozart puškiniano di "un'arte senza
astuzia" che riesce a tradurre quasi senza mediazione, con
leggerezza il miracolo avvenuto nell'intimo:
"Tale
è la forza di quell'anima che spira e spirerà in eterno in questa
creatura divina, che tutto ciò che vi è intorno scompare non appena
guardi ad essa con attenzione. Dicono che Raffaello, apprestando la
tela per questo dipinto, a lungo non sapesse che cosa vi sarebbe
stato sopra: non giungeva l'ispirazione. Una volta si addormentò con
il pensiero della Madonna e invero un qualche angelo lo svegliò,
sobbalzò: E' qui, gridò, indicando la tela e tracciò il primo
disegno. Ed effettivamente questo non è un quadro, è una visione
[...]. Qui l'anima del pittore, senza alcuna astuzia dell'arte, ma
con sorprendente semplicità e leggerezza, ha affidato al pennello
quel miracolo che si è verificato nel suo intimo. [...] L'ora che
trascorsi dinanzi a questa Madonna appartiene alle ore più liete
della mia vita [...]. Ero solo, intorno a me tutto era tranquillo.
Prima con un certo sforzo entrai in me stesso, poi cominciai a
sentire chiaramente che l'anima si espandeva: un certo commovente
senso di grandezza vi penetrava, l'inesprimibile si esprimeva ed essa
era là dove solo può essere nei migliori momenti della vita. Il
genio della pura bellezza era in lei. [...] Non comprendo come una
pittura limitata possa produrre l'immenso: dinanzi agli occhi è una
tela, ci sono in essa dei volti, dei tratti delineati, tutto è
ristretto in un piccolo spazio, eppure tutto è immenso, tutto è
illimitato! E vien proprio in mente che questo quadro nacque in un
momento miracoloso: la cortina è alzata e i misteri celesti si sono
svelati agli occhi dell'uomo. Tutto avviene nel cielo. Esso appare
vuoto e come nebbioso, ma non è vuoto, non è nebbia, si tratta di
una luce quieta, non naturale, piena di angeli, la cui presenza è
sentita piuttosto che osservata: si può dire che l'atmosfera stessa
si trasformi in puro angelo alla presenza di questa Vergine celeste
che passa. [...] Nella Madre di Dio che cammina nei cieli non si nota
alcun movimento; ma quanto più la guardi, tanto più pare che essa
si avvicini. Sul volto non c'è nulla di non espresso, cioè non v'è
in esso espressione comprensibile, che abbia un nome definito. Trovi
in lei, in una misteriosa fusione, tutto: calma, purezza, grandezza e
anche sentimento, ma un sentimento che va già oltre al limite del
terreno, dunque un sentimento di pace, stabile, che non può
disturbare la lucidità dello spirito. I suoi occhi non brillano
[...] vi è in essi una speciale, profonda oscurità; v'è in essi
uno sguardo che non punta in nessun luogo ma è come se vedesse
l'immenso. Essa non sostiene il Bambino, con le sue braccia
docilmente e liberamente gli serve da trono; e in realtà questa
Madre di Dio altro non è che il trono animato di Dio, che conosce la
grandezza di colui che siede. Egli, come sovrano della terra e del
cielo, siede su questo trono e nei suoi occhi c'è lo stesso sguardo
che non punta in nessuna direzione; ma questi occhi brillano come
lampi, brillano di un fulgore eterno" (sempre da Gallerano).
Un'altra
incredibile capriola di Puškin. Dalle parole sprezzanti di Salieri
che non capisce la gratuità dell'arte, esplode invece la sua
leggerezza che tutto tollera e tutto sopporta, anche di essere
deformata da un violista cieco (ma chi sarà mai questo personaggio
della tragedia che in qualche modo fa pendant con il
misterioso ospite di Mozart?).
E
man mano che addentriamo nella fitta trama compatta della tragedia
Puškin ci prende per mano e ci insegna ad astrarci, a incontrare
cose e persone e leggervi simboli. Così dapprima incontriamo il
committente del Requiem come una persona vestita di nero
(человек, одетый в черном)
poi diventa invece l'uomo nero (черный человек),
con l'effetto di smaterializzare
la persona reale in una sinistra aurea simbolica, fino
all'apogeo quando di lui si dice che
“siede come terzo tra noi”.
Вот
и теперь
Мне
кажется, он с нами сам-третей
Сидит.
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Ecco anche ora
Mi sembra, con noi come un terzo
Siede.
Continua (chissà)
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Peccato che i simboli siano presi così spesso alla lettera e non ci si lasci permeare dalla loro realtà, che è quella dell'anima, ma li degradiamo a semplici "pettegolezzi" e piccole patologie quotidiane! L'aver perso questa capacità visionaria corrisponde, secondo il grande Henry Corbin, ad una vera e propria "catastrofe dello spirito".
RispondiEliminae sì, cara, più leggo i grandi poeti e più ascolto le tue riflessioni e più mi sperdo in questa foresta di simboli "che ci guardano con sguardi familiari".
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