Mozart e Salieri in un disegno di Vrubel' |
Nell'autunno
1830, confinato nella tenuta di Boldino da un'epidemia di colera,
Puškin conosce una stagione di straordinaria creatività. Era andando lì per sistemare certe faccende che avrebbero dovuto avvicinare il tanto sospirato matrimonio con Natal'ja Gončarova. E invece, complice la quarantena, viene preso da un fiotto di attività. Tra le
altre opere compone quattro "piccole tragedie" di cui una è
il microdramma in due scene Mozart
e Salieri
o l'invidia, come l'autore l'aveva originariamente intitolato. Ma
l'opera, enigmatica e laconica nella sua nuda essenzialità, va al di
là di un'indagine psicologica su di una passione fatale (Puškin
aveva già affrontato l'avarizia nel Cavaliere
avaro
e la lussuria nel Convitato
di pietra)
e si presenta come un mistero che, attraverso il topos
del banchetto estremo, scava lungo le innervature sottili che
collegano arte, morte e vita, genio e amicizia. Musica, pittura e
poesia fondono i propri linguaggi, mischiano i propri simboli
perché il poeta possa rovistare nelle profondità ancestrali e
buie della vita grazie il fulgore lieve dell'arte.
Poco meno di sette anni dopo, il 29 gennaio 1837, dopo due giorni di agonia e un duello sconsiderato, il poeta russo morì. “E' tramontato il sole
della nostra poesia”, mestamente annunciavano poche righe sul
giornale “L'invalido russo”, mentre la salma veniva in fretta e
furia trasferita nel cimitero di famiglia lontano dalla capitale. Lo
zar aveva avuto paura della folla, già pronta a radunarsi, aveva
avuto paura del poeta che teneva sotto stretta censura, anche da
morto.
Il
sole della nostra poesia. Da quel momento in poi tutta la letteratura
russa è cresciuta nel riverbero di quel sole, nel confronto continuo
con lo splendore della forma levigata puškiniana, con la chiarezza
del suo ingegno e con le questioni da esso poste: l'autocoscienza
nazionale, il rapporto tra arte e vita, il ruolo della Russia nella
cultura europea, l'assetto sociale del paese...
Quel
sole però conosceva benissimo i lati oscuri dell'esistenza, la tenebra repentina ("внезапный мрак"). E' l'allegro, solare
Mozart che usa questa espressione, il Mozart che troviamo intento a giocare sul
pavimento con il suo bambino, ma che parla anche di visione sepolcrale (ma smussa sempre, Mozart, non afferma mai con sicurezza, o "forse qualcosa di simile, или
что-нибудь такой"):
il calore di Mozart-Puškin non lo preservava dagli spifferi gelidi con cui il
nulla si insinua nelle crepe dell'essere; il cantore del paese dagli
spazi sconfinati poteva anche ansimare per il senso di claustrofobia
e soffocamento di luoghi chiusi: torri, salette di volgari trattorie,
oscuri recessi di dimore fatiscenti. E' questa l'ambientazione,
infatti, delle piccole tragedie.
E
proprio le piccole tragedie, tra cui Mozart
e Salieri,
sono una testimonianza dell'altro lato del sole, del nulla sempre in
agguato a minacciare la pienezza dell'essere, del Male che insidia il
Bene e la Bellezza, un binomio inscindibile per la grande tradizione
culturale russa.
Puškin
scrisse le piccole tragedie in un periodo particolare della propria
vita. Era a Boldino, in campagna in l'autunno, la sua stagione
preferita ed era
consapevole di essere sulla soglia di una nuova vita. La zona
circostante la sua tenuta venne raggiunta dal colera e i cordoni
sanitari costrinsero il poeta a una reclusione forzata in campagna.
Così fu quasi costretto a finire l'Evgenij
Onegin,
il suo capolavoro (e gli dispiacque congedarsi dal proprio eroe,
proprio come nella nostra tragedia a Mozart dispiaceva lasciare il
suo Requiem),
si cimentò per la per prima volta con la prosa, scrisse diverse
liriche e queste piccole tragedie.
Mozart
e Salieri riprende
una leggenda diffusa alla fine del Settecento, secondo la quale
Mozart era stato avvelenato da Salieri invidioso del suo genio. Com'è
noto, si tratta di una leggenda senza fondamento storico, pur avendo
goduto di molta fortuna anche in tempi recenti, soprattutto anche
perché il drammaturgo inglese Peter Shaffer vi si è ispirato per
una sua celebre opera (dichiarando tra l'altro il suo debito verso
Puškin) e ne ha tratto il celebre film di Forman (1984).
Per
la leggenda lo stesso Salieri avrebbe confessato il delitto in punto
di morte. Il musicista era morto nel 1825 e Puškin aveva cominciato
ad abbozzare la tragedia nel 1826. Un contracolpo all'attualità,
dunque. L'opera avrebbe probabilmente dovuto intitolarsi Invidia
e
faceva parte di una serie di studi sulle passioni oscure che agitano
il cuore dell'uomo.
Ma non vorrei parlare di questo,
non vorrei leggere l'opera come un pezzo di bravura di introspezione
psicologica. C'è sicuramente anche questo, ma non solo. C'è in tutte loro un'atmosfera comune, lo stesso tono, la stessa posizione. Sul ciglio del sepolcro. Sull'orlo del baratro. In questo senso Il festino in tempo di peste è un po' il simbolo di tutte quante.
Vizi, avarizia, lussuria, invidia. sensazione soffocante della quarantena come metafora della vita intera.
Queste
piccole tragedie erano definite dall'autore scene
(сцены) o esperimenti di studi drammatici (опыт
драматических изучений).
E
questo ci fa intendere il carattere sperimentale, la ricerca che
accompagna tutta l'opera creativa di Puškin, ma che appare subito a
una prima lettura di Mozart
e Salieri:
due scene laconiche e stringate, perfettamente costruite in base a un
principio compositivo rigoroso basato sulla simmetria (figura di
Armonia?) o piuttosto sull'inversione simmetrica: tre monologhi di
Salieri (i due che circoscrivono la prima scena e l'ultimo, spezzato
del finale) si specchiano nei silenzi e nelle repliche come casuali
di Mozart ma soprattutto nelle tre esecuzioni della sua musica.
Tra
l'altro, il trionfo del Requiem
nel finale, sancito dallo stesso Salieri, rappresenta il rovescio
dell'ultimo monologo di Salieri che non trova più argomentazioni.
Quindi, il dialogo tra Mozart e Salieri è un dialogo tra il discorso
razionale che procede invano per argomentazioni contro la musica che
fluisce di Mozart. E' evidente che in questo contrasto tra verbale e
musicale è presente anche
la
polemica tra l'orientamento gluckiano di cui Salieri era seguace (la
parola, l'opera che diventava anche vero dramma di parola) e la novità mozartiana (che dava alla musica l'onere di forgiare l'operare).
La prima scena è
archittettonicamente compiuta e conclusa: due monologhi e in mezzo il
dialogo tra i due personaggi, una decisione che conclude il discorso.
Una geometria perfetta.
La seconda, invece, è
praticamente un frammento: inizia a metà conversazione e finisce con
una domanda senza risposta, oltre che essere quasi costruita sui
puntini di sospensione. Alla domanda finale di Salieri risponde solo
il vuoto e il silenzio del testo, è la distruzione, la dissoluzione
del discorso retorico. In tutta l'opera l'assertività di Salieri
contrasta con il modo elusivo di parlare di Mozart, il suo procedere
incerto per espressioni indefinite, per domande (“non è vero?”
Smorzerà perfino la sua unica sentenza, uno dei nuclei semantici
dell'opera: genio e delitto non vanno d'accordo) che cercano
conferma.
„Кое-что”, „что-нибудь”, „кого бы?”, „что-нибудь такое...”, „может быть”, „Отчего — не знаю”, „кто бы это был?”, „Мне кажется”, „правда ли”, „кого-то”, „что-то”.
E' ampio il ventaglio degli indefiniti nella lingua russa...
Qualcosina, un non so che, chi mai? qualcosa di simile, può essere, Perché non so, chi sarebbe mai stato= Mi sembra, davvero?, qualcuno, qualcosa
Il capovogimento finale, dunque,
(la domanda senza risposta di Salieri) pesa come un macigno. La vera
arte non è mai assertiva e univoca, è sempre elusiva e simbolica e
non è un caso che Puškin qui scelga la più elusiva delle arti, la musica, per suggerircelo.
continua
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaIl commento è approfondito e faccio i miei complimenti. Mi permetto di segnalare a parecchi anni di distanza una nuova interpretazione del dramma di Puskin Mozart e Salieri, immagino inedita, che ho appena letto nel libro Mozart la caduta degli dei. Le conclusioni ribaltano, in base a recenti apporti critici letterari russi documentati dai coautori, la visione che vorrebbe un Mozart esaltato come genio di natura contrapposto a Salieri, fatto passare per mediocre, geloso compositore.
RispondiEliminaGrazie, gentile Anna. Strano, proprio in questi giorni sto riprendendo il dramma di Puškin insieme a una studentessa. Comunque, Aleksandr Sergeeviò, forse, aveva previsto anche questo, creando il suo Salieri pieno di sfumature e contraddizioni, qualcosa di più che un invidioso mediocre. Terrò conto della sua segnalazione, grazie!
RispondiElimina