Nel
Trionfo della
metafisica Limonov
racconta i due mesi trascorsi all'interno della colonia penale n° 13
nelle steppe della regione di Saratov. Al lager Limonov era dunque
arrivato all'inizio del maggio 2003 dopo due anni di prigione, in
seguito a una condanna mitigata: il processo aveva mutato i
quattordici anni chiesti dal procuratore in quattro anni per semplici
"disordini di massa". Verrà liberato anticipatamente il 30
giugno 2003, soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale in
suo favore.
Limonov
dà il meglio quando non è concentrato esclusivamente sul proprio sé
debordante. Questo libro pullula dei personaggi più
disparati. Tutti riforgiati in qualche
maniera dall'esperienza dolorosa della prigionia, non necessariamente
abbruttiti (in alcuni casi addirittura maturati), ma quasi sempre
colti dallo sguardo pungente e imperturbabile dell'autore nella loro
insopprimibile benché castrata umanità.
La
realtà estrema della prigionia e la violenza repressa ribollono
latenti sotto l'ordine fittizio della rigida organizzazione
carceraria. Proprio questa situazione claustrofobica solleva Limonov
dal bisogno di colpire e irritare a tutti costi, liberandolo dalle
pastoie dell'épatage
a volte artificioso
e restituendogli una scrittura scarna ed essenziale, con solo qualche
lieve sbavatura retorica qui e là.
Se
la Danimarca è una prigione, Shakespeare non è mai stato in Russia,
osserva Ljudmila Ulickaja, scrittrice lontana anni luce dal nostro
Edička, o Peter Pan di Char'kov (come lo chiama lei), ma che firma
l'introduzione al suo Mes
prisons, l'edizione
francese di Per le
prigioni (2004).
Il "piccolo mužik
in pellicciotto di lepre", il lupo capace di compassione si cala
nell'universo penitenziario come semplice detenuto tra i detenuti e
testimonia la sofferenza di questo enorme popolo di zek.
Aguzza lo sguardo per cogliere minuziose sottigliezze: le differenti
nazionalità (senza alcuna deriva nazionalista), la specifica
posizione nella complicata gerarchia del campo, la relazione con le
autorità locali.
E
molto meglio di quanto possa fare qualsiasi instant
book, il libro è
un atto d'accusa contro la Russia putiniana: le prigioni sono la
vergogna, il dolore, il peccato della Russia, come ribadisce
Ulickaja, ma
la
colonia penale sembra essere solo l'ultimo cerchio di una società
violenta e coercitiva. Limonov osserva che l'organizzazione del campo
è modellata su quella dell'esercito, che a sua volta riproduce lo
schema padrone-servo e l'arbitrio incontrollato dei tempi della
servitù della gleba.
La questione non è secondaria o limitata, se si
considera che in Russia l'apparato militare ha ancora tanta
importanza e spesso funge da modello per l'intera società civile:
non hanno perso attualità i saggi di Anna Politkovskaja sul
nonnismo, sull'azione disperata delle madri dei soldati, su vicende
strazianti e per lo più rimosse come quelle del teatro alla
Dubrovskaja e di Beslan.
Limonov,
che ha definito la Russia intera come un paese in preda al nonnismo,
è pienamente consapevole della portata del proprio atto d'accusa: il
bello è che nel Trionfo
della metafisica
non lo rende esplicito, ma da vero scrittore lo fa emergere dalle
pieghe del libro.
Nel
libro domina la metafora del convento e il lessico religioso ricorre
perfino nel disegno topografico del lager (la Via
dolorosa che
attraversa il campo). Ma questa ascesi, questa esperienza mistica,
metafisica, come la definisce l'autore, sarà da prendere alla
lettera? Sarà davvero il faticoso risultato di un percorso di
rigorosa disciplina interiore?
Sulle montagne dell'Altaj, nell'avventura che è servita
a pretesto alla sua assurda condanna, Limonov era accompagnato da una
laconica guida che leggeva Lao-tzu ed evocava l'antico buddhismo che
in quelle lande sperdute si è arricchito di riti e suggestioni
sciamaniche. Eduard Veniaminovič ha veramente fatto tesoro di quella
sapienza arcana? O siamo in presenza di un'ennesima provocazione, di
una liquida dissacrazione pronta a svaporare di fronte a una prossima
futura impresa?
In fondo, Limonov l'ha ripetuto a destra e a sinistra:
dopo l'emigrazione, il successo letterario e mondano, dopo le imprese
da guerrigliero temerario, gli mancava solo di fondare una nuova
religione: "Se un artista non capisce per tempo che deve
dedicarsi a qualcosa di più elevato di se stesso, come un partito o
una religione, allora lo attende un miserabile destino fatto di
sbronze, trasmissioni televisive, pettegolezzi, meschine rivalità, e
per finire un infarto o un cancro alla prostata", dichiara, come
riporta Carrère.
E, dunque, come dovremmo leggere quello stato di estasi
che scavalca tempo e spazio e che è messo in moto dalla semplice e
monotona pulizia di un acquario?
E' uno sberleffo ammiccante o Limonov è stato davvero
folgorato da un cortocircuito di tempo ed eterno, detenuto Savenko e
Simon Mago, ritmo battente dei Rammstein e mistico Silenzio, banale
chiacchiericcio e Pensiero metafisico, prigionia angusta
dell'acquario e distese sconfinate della libertà più vertiginosa,
Elena Ščapova ed Elena di Troia?
In realtà, noi leggiamo e non ci importa affatto quel
che è successo davvero: si tratta naturalmente del potere
trasfigurante e mitopoietico della scrittura. Al suo tocco magico
tutto si trasforma: la memoria e l'invenzione, la biografia e il
romanzo, l'uomo e lo scrittore.
Limonov usa anche la Storia per dilatare il
cronotopo claustrofobico dove il destino lo ha cacciato: le steppe di
Saratov e il villaggetto vicino al campo portano le tracce di eventi
emblematici con cui Limonov si identifica e che ricostruisce per
renderli al lettore pieni di senso: Pugačev, simbolo di tutte le
ribellioni stroncate da un potere sordo e cieco, e lo starec
Filaret che gli
consigliò di prendere l'identità di Pietro III; il cosacco Platov
coinvolto nella folle impresa di conquistare l'India voluta da Paolo
I poco prima della morte; l'eroe rivoluzionario Čapaev che nel 1917
proprio lì cominciò a radunare la sua leggendaria divisione che
sconfisse l'ammiraglio Kolčak, capo supremo dei Bianchi.
E
così, ne Il trionfo
della metafisica,
storia e attualità, vicenda personale e destino di un popolo,
vengono a confluire nella metafisica di una pagina ben scritta,
essenziale e, per una volta, quasi
senza demagogia.
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