venerdì 8 febbraio 2013

Il lupo e le prigioni della steppa (conclusione)


Nel Trionfo della metafisica Limonov racconta i due mesi trascorsi all'interno della colonia penale n° 13 nelle steppe della regione di Saratov. Al lager Limonov era dunque arrivato all'inizio del maggio 2003 dopo due anni di prigione, in seguito a una condanna mitigata: il processo aveva mutato i quattordici anni chiesti dal procuratore in quattro anni per semplici "disordini di massa". Verrà liberato anticipatamente il 30 giugno 2003, soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale in suo favore.
Limonov dà il meglio quando non è concentrato esclusivamente sul proprio sé debordante. Questo libro pullula dei personaggi più disparati. Tutti riforgiati in qualche maniera dall'esperienza dolorosa della prigionia, non necessariamente abbruttiti (in alcuni casi addirittura maturati), ma quasi sempre colti dallo sguardo pungente e imperturbabile dell'autore nella loro insopprimibile benché castrata umanità.
La realtà estrema della prigionia e la violenza repressa ribollono latenti sotto l'ordine fittizio della rigida organizzazione carceraria. Proprio questa situazione claustrofobica solleva Limonov dal bisogno di colpire e irritare a tutti costi, liberandolo dalle pastoie dell'épatage a volte artificioso e restituendogli una scrittura scarna ed essenziale, con solo qualche lieve sbavatura retorica qui e là.
Se la Danimarca è una prigione, Shakespeare non è mai stato in Russia, osserva Ljudmila Ulickaja, scrittrice lontana anni luce dal nostro Edička, o Peter Pan di Char'kov (come lo chiama lei), ma che firma l'introduzione al suo Mes prisons, l'edizione francese di Per le prigioni (2004). Il "piccolo mužik in pellicciotto di lepre", il lupo capace di compassione si cala nell'universo penitenziario come semplice detenuto tra i detenuti e testimonia la sofferenza di questo enorme popolo di zek. Aguzza lo sguardo per cogliere minuziose sottigliezze: le differenti nazionalità (senza alcuna deriva nazionalista), la specifica posizione nella complicata gerarchia del campo, la relazione con le autorità locali.
 
E molto meglio di quanto possa fare qualsiasi instant book, il libro è un atto d'accusa contro la Russia putiniana: le prigioni sono la vergogna, il dolore, il peccato della Russia, come ribadisce Ulickaja, ma la colonia penale sembra essere solo l'ultimo cerchio di una società violenta e coercitiva. Limonov osserva che l'organizzazione del campo è modellata su quella dell'esercito, che a sua volta riproduce lo schema padrone-servo e l'arbitrio incontrollato dei tempi della servitù della gleba.
La questione non è secondaria o limitata, se si considera che in Russia l'apparato militare ha ancora tanta importanza e spesso funge da modello per l'intera società civile: non hanno perso attualità i saggi di Anna Politkovskaja sul nonnismo, sull'azione disperata delle madri dei soldati, su vicende strazianti e per lo più rimosse come quelle del teatro alla Dubrovskaja e di Beslan.
Limonov, che ha definito la Russia intera come un paese in preda al nonnismo, è pienamente consapevole della portata del proprio atto d'accusa: il bello è che nel Trionfo della metafisica non lo rende esplicito, ma da vero scrittore lo fa emergere dalle pieghe del libro.

Nel libro domina la metafora del convento e il lessico religioso ricorre perfino nel disegno topografico del lager (la Via dolorosa che attraversa il campo). Ma questa ascesi, questa esperienza mistica, metafisica, come la definisce l'autore, sarà da prendere alla lettera? Sarà davvero il faticoso risultato di un percorso di rigorosa disciplina interiore?
Sulle montagne dell'Altaj, nell'avventura che è servita a pretesto alla sua assurda condanna, Limonov era accompagnato da una laconica guida che leggeva Lao-tzu ed evocava l'antico buddhismo che in quelle lande sperdute si è arricchito di riti e suggestioni sciamaniche. Eduard Veniaminovič ha veramente fatto tesoro di quella sapienza arcana? O siamo in presenza di un'ennesima provocazione, di una liquida dissacrazione pronta a svaporare di fronte a una prossima futura impresa?

In fondo, Limonov l'ha ripetuto a destra e a sinistra: dopo l'emigrazione, il successo letterario e mondano, dopo le imprese da guerrigliero temerario, gli mancava solo di fondare una nuova religione: "Se un artista non capisce per tempo che deve dedicarsi a qualcosa di più elevato di se stesso, come un partito o una religione, allora lo attende un miserabile destino fatto di sbronze, trasmissioni televisive, pettegolezzi, meschine rivalità, e per finire un infarto o un cancro alla prostata", dichiara, come riporta Carrère.
E, dunque, come dovremmo leggere quello stato di estasi che scavalca tempo e spazio e che è messo in moto dalla semplice e monotona pulizia di un acquario?
E' uno sberleffo ammiccante o Limonov è stato davvero folgorato da un cortocircuito di tempo ed eterno, detenuto Savenko e Simon Mago, ritmo battente dei Rammstein e mistico Silenzio, banale chiacchiericcio e Pensiero metafisico, prigionia angusta dell'acquario e distese sconfinate della libertà più vertiginosa, Elena Ščapova ed Elena di Troia?
In realtà, noi leggiamo e non ci importa affatto quel che è successo davvero: si tratta naturalmente del potere trasfigurante e mitopoietico della scrittura. Al suo tocco magico tutto si trasforma: la memoria e l'invenzione, la biografia e il romanzo, l'uomo e lo scrittore. 

Limonov usa anche la Storia per dilatare il cronotopo claustrofobico dove il destino lo ha cacciato: le steppe di Saratov e il villaggetto vicino al campo portano le tracce di eventi emblematici con cui Limonov si identifica e che ricostruisce per renderli al lettore pieni di senso: Pugačev, simbolo di tutte le ribellioni stroncate da un potere sordo e cieco, e lo starec Filaret che gli consigliò di prendere l'identità di Pietro III; il cosacco Platov coinvolto nella folle impresa di conquistare l'India voluta da Paolo I poco prima della morte; l'eroe rivoluzionario Čapaev che nel 1917 proprio lì cominciò a radunare la sua leggendaria divisione che sconfisse l'ammiraglio Kolčak, capo supremo dei Bianchi.
E così, ne Il trionfo della metafisica, storia e attualità, vicenda personale e destino di un popolo, vengono a confluire nella metafisica di una pagina ben scritta, essenziale e, per una volta, quasi senza demagogia.





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