Festeggiamenti, auguri,
buoni propositivi, auspici. Le luci che accendiamo nel più nero
inverno rischiarano il presagio della primavera ancora lontana.
Giorni di incontri, belle
parole, illusioni, speranze.
Pasternak ci accompagna
volentieri in questa atmosfera di festa e infatti la sua Stella di
Natale è forse una sue delle poesie più citate e amate. Quella
stella che fa capolino come un'ospite nella capanna in
un'ambientazione normale e quotidiana, tra la folla, le scaramucce e
le solite beghe umane ci consola perché la sentiamo, infine, a
portata di mano.
Eppure, il motivo del Natale e delle sue feste, e il conseguente richiamo a Blok, esplicito
nel Dottor Živago, è tutt'altro che dolciastro
scartar di doni d'ordinanza.
C'è un lato oscuro, c'è
una tristezza nelle feste che almeno qualche volta abbiamo sentito
tutti.
Comincia con un senso di
estraneità, lontananza dal diffuso umore gioioso, continua con il
sospetto che tutta quella gioia sia solo una chiassosa mascherata, un
festino in tempo di peste, direbbe Puškin. Tutto posticcio, una
esagerata magnificenza di cartapesta e di belletti che si sgonfia
nella baraonda della ricerca dei berretti che inevitabilmente si
perdono nel guardaroba. L'umile prosaicità della capanna della
Stella di Natale, che ci rassicurava, qui si imbolsisce in una
diabolica apparenza senza sostanza. E allora ci prende la paura, un
azzurro spavento si profila fuori dalla nostra finestra che si apre
con un sbuffo di vento, sempre pronto a spegnere le nostre candele
scintillanti, con la loro fragile luce sempre in pericolo.
“Che follia il valzer!
Si gira, si gira, senza pensare a nulla”, pensa la giovane Lara nel
Dottor Živago. È
questo il ritmo che prende la nostra inquietudine, un tre quarti di
angoscia che cerca di venire a patti con la leggerezza dei ricordi
dell'infanzia e dei mille Natali passati tra canditi, datteri e palle
scintillanti. È
un incubo che ci riporta all'atmosfera indiavolata del sogno di
Tat'jana nell'Evgenij
Onegin,
richiamato da tanti suggerimenti sparsi nel testo. È la presa
coscienza del peso della Storia (siamo nei primi anni Quaranta, la
guerra è un macigno) che incombe sui destini più intimi, che va a
ficcarsi fin nell'inconscio e nelle inconsapevoli paure. È, infine,
la sensazione di colpa (il tempo prima dei tre galli!) per non aver capito, per non aver vissuto a
suo tempo il proprio Tempo in modo adeguato. La stessa sensazione di
Anna Achmatova che quasi contemporaneamente osserva assorta le stesse
mascherate diaboliche nel suo Poema
senza eroe.
La stessa nostra sensazione di fronte al nostro di Tempo, buio, che
viviamo incuranti e in “in tutt'altre faccende affaccendati”.
Б.Л. Пастернак
Вальс с чертовщиной
Только заслышу польку вдали,
Кажется, вижу в замочною скважину:
Лампы задули, сдвинули стулья,
Пчелками кверху порх фитили,
Масок и ряженых движется улей.
Это за щелкой елку зажгли.
Великолепие выше сил
Туши и сепии и белил,
Синих, пунцовых и золотых
Львов и танцоров, львиц и франтих.
Реянье блузок, пенье дверей,
Рев карапузов, смех матерей.
Финики, книги, игры, нуга,
Иглы, ковриги, скачки, бега.
В этой зловещей сладкой тайге
Люди и вещи на равной ноге.
Этого бора вкусный цукат
К шапок разбору рвут нарасхват.
Душно от лакомств. Елка в поту
Клеем и лаком пьет темноту.
Все разметала, всем истекла,
Вся из металла и из стекла.
Искрится сало, брызжет смола
Звездами в залу и зеркала
И догорает дотла. Мгла.
Мало-помалу толпою усталой
Гости выходят из-за стола.
Шали, и боты, и башлыки.
Вечно куда-нибудь их занапастишь!
Ставни, ворота и дверь на крюки,
В верхнюю комнату форточку настежь.
Улицы зимней синий испуг.
Время пред третьими петухами.
И возникающий в форточной раме
Дух сквозняка, задувающий пламя,
Свечка за свечкой явственно вслух:
Фук. Фук. Фук. Фук.
1941
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Sol che sento la polka di lontano,
Ecco, vedo nel buco della chiave:
Hanno spento le lampade, spostato le sedie,
Сome api verso l'alto a sfiorar gli stoppini,
Delle maschere e dei costumi si muove lo sciame.
Hanno illuminato l'albero oltre la fessura.
Magnificenza oltre misura
Del bistro e seppia e belletti,
Di maliarde e seduttrici, di casanova e danzatori
Azzurri,
porpora e oro.
Volteggio di bluse, canto di portoni
Frigne di moccioso, di madre il riso.
Datteri, libri, giochi, torroni,
Aghi, pagnotte, salti, corse.
In questa maligna, dolce taigà
Uomini e cose sono alla pari.
Di questo bosco il gustoso candito
Alla fine di tutto strappano al volo.
Aria pesante di dolciumi. L'abete sudato
di colla e vernice si beve l'oscurità.
Tutto ha spazzato via, tutto ha consunto,
Tutto di metallo e di vetro.
Scintilla il lardo, spruzza la resina
Stelle in sala e negli specchi
E brucia fin in fondo. Buio.
Piano piano, folla stanca,
gli ospiti si alzano da tavola.
Scialli e stoffe e berretti.
Son sempre a ficcarsi chissà dove!
Imposte, cancelli e porta al chiavistello,
Nella stanza di sopra la finestrella spalancata.
Della via d'inverno l'azzurro spavento.
Il tempo prima dei tre galli.
E nato nella cornice dell'infisso
Il soffio della corrente spegne la fiamma,
Candela su candela, chiaro ad alta voce.
Pfuu. Pfuu. Pfuu. Pfuu.
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