In un piccolo baraccone di saltimbanchi il 28 settembre 1918, a Losanna fece la sua comparsa il diavolo… Un diavolo russo.
Questa storia la possiamo ascoltare, guardare, peccato non
annusare, altrimenti sentiremmo di sicuro il profumo dell’erbetta tenera o del
pane fresco appena sfornato, l’odore delle buone cose semplici, essenziali, che
è facile non sentire, di cui è facile dimenticarsi, persi in sogni, chimere,
bisogni inventati, felicità da accumulare, aggiungere una felicità a un’altra
felicità…
Felicità non dovrebbe avere un plurale… se la mettiamo al
plurale si immiserisce, diventa un’altra cosa. Come Paradiso: se sono tanti, i
paradisi sono pericolosi
“Sono
enormemente ricco, eppure sono un morto tra i viventi.
Non bisogna cercare di aggiungere ciò che si aveva a ciò che si ha, non si può essere al tempo stesso ciò che si era e ciò che si è. Bisogna saper scegliere; non si ha il diritto di possedere tutto: è proibito. Una felicità è tutta la felicità: due felicità, è come se non esistessero”. Dice il Soldato alla fine dell’opera.
Questa, dunque, è la storia di incontro con il diavolo, con il male. Un tema, un motivo vecchio come il mondo, conosciamo tutti la vicenda del Faust che vende la sua anima per sapere, perché vuole andare oltre i propri limiti di uomo. Anche qui si tratta di superare i limiti, si tratta di perdersi, ma per parlare di questo Stravinskij e il suo amico Charles Ramuz sono andati a frugare in un tesoro lontano, il patrimonio popolare russo, come si è cristallizzato nelle fiabe, raccolte alla metà Ottocento, da un signore appassionato e un po’ matto (che per le fiabe ha avuto molti guai con la censura e si è trovato disoccupato), Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev (1826-1873).
Non bisogna cercare di aggiungere ciò che si aveva a ciò che si ha, non si può essere al tempo stesso ciò che si era e ciò che si è. Bisogna saper scegliere; non si ha il diritto di possedere tutto: è proibito. Una felicità è tutta la felicità: due felicità, è come se non esistessero”. Dice il Soldato alla fine dell’opera.
Questa, dunque, è la storia di incontro con il diavolo, con il male. Un tema, un motivo vecchio come il mondo, conosciamo tutti la vicenda del Faust che vende la sua anima per sapere, perché vuole andare oltre i propri limiti di uomo. Anche qui si tratta di superare i limiti, si tratta di perdersi, ma per parlare di questo Stravinskij e il suo amico Charles Ramuz sono andati a frugare in un tesoro lontano, il patrimonio popolare russo, come si è cristallizzato nelle fiabe, raccolte alla metà Ottocento, da un signore appassionato e un po’ matto (che per le fiabe ha avuto molti guai con la censura e si è trovato disoccupato), Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev (1826-1873).
Così la raffinata
cultura dell’inizio secolo si innesta sulla tradizione popolare e per parlare
del diavolo chiede aiuto al folclore, che con la sua solida tradizione del riso
da secoli ha imparato a dedemonizzare, semplificare e smascherare le forze
impure, in un processo sempre ripetuto di "addomesticazione del male”
perché: il popolo ama intrattenere rapporti famigliari con le forze
sovrannaturali. Infatti, il diavolo spesso ha un mestiere, una moglie che teme
o, come nella Notte prima di Natale di Gogol’ con la
papalina (kolpak) in testa siede al
focolare ad arrostire peccatori come una baba
qualsiasi arrostisce il salame per le feste.
In realtà Stravinskij e Ramuz tirano fuori la loro storia
proprio da due diverse fiabe di Afanas’ev.
Fiaba del soldato
fuggitivo e il diavolo e Fiaba sul soldato che liberò la principessa.
Perché tanti soldati e non contadini, mugnai, panettieri? In Europa abbiamo L’acciarino magico ma è una fiaba
d’autore, di Andersen (1835). Afanas’ev, invece, ne raccoglie molte e crea
tutto un ciclo di racconti sulla guerra. Nel 1855 era finita la guerra di
Crimea e il ricordo del reclutamento forzato per la guerra russo-turca, sotto
Nicola I, era ben vivo. Afanas’ev aveva ben presenti anche i i canti detti Rekrutskija, aventi per oggetto i
lamenti delle donne alle quali i figli e i fidanzati venivano strappati con la
forza.
Le fiabe non sono mai innocue e nel folclore contadino la
guerra è molto presente, gli zar hanno sempre usato i contadini come soldati (mentre
i nobili li usavano come mezzi di produzione). E la ferma, il servizio militare
durava 25 anni. Se ti toccava, eri perso.
Con il nuovo zar, Alessandro II, le cose cambiano. Nel 1874 viene
introdotta una sorta di leva generale e i tempi del servizio si riducono. Negli
anni Sessanta si infiamma il dibattito sul servizio militare. E, per Afanas’ev
raccogliere e pubblicare fiabe sui soldati era entrare nel vivo dell’attualità.
1918: la stessa cosa per Stravinskij e Ramuz
Gli anni di guerra, sono un periodo di grande confusione
sociale e, per Stravinskij di problemi economici (è in Svizzera con la famiglia:
quattro bambini e la moglie malata) ma anche di sperimentazione musicale. Aveva
già utilizzato materiali da Afanas’ev e
appena un mese prima dell’inizio della guerra, Stravinskij era stato in Russia
e vi aveva riportato la Sobranie pesen’ (Raccolta di canti popolari) di Pëtr
Kireevskij (1808-56), un’opera fondamentale sul folclore russo e le Antiche fiabe russe di Afanas’ev.
Nella limitazione si vede il maestro, diceva Goethe e
infatti è l’urgenza, il bisogno che fa nascere L’histoire: “Ad ogni costo
dovevo cercare di assicurare un’esistenza tollerabile alla mia famiglia. La mia
unica consolazione era di vedere che non ero solo a soffrire a causa delle
circostanze. Amici come Ramuz, Ansermet e molti altri erano provati non meno di
me. Ci si trovava spesso e si cercava febbrilmente una via d’uscita a tale
preoccupate situazione. Fu così che pensammo, Ramuz ed io, di creare, con la
minor spesa possibile, una sorta di piccolo teatro ambulante, facilmente
trasportabile da una località all’altra e che si potesse presentare anche nei
più piccoli paesi. Ma, per far questo, ci occorrevano dei fondi che mancavano
del tutto. […] Allora ci si mise alla ricerca di un mecenate o di un gruppo di
persone in grado di interessarsi alla nostra faccenda. Ahimè, non era cosa
facile. Ogni volta si urtava in rifiuti non sempre educati, ma sempre
categorici. Finalmente si ebbe la fortuna d’incontrare una persona che non solo
ci promise di riunire la somma di cui avevamo bisogno, ma che prese a cuore il
nostro progetto e ci dimostrò una calorosa e incoraggiante simpatia. Si
trattava di Werner Reinhart di Winterthur, noto per la sua grande cultura
intellettuale e per il prezioso appoggio che prestava, insieme ai fratelli,
alle arti e agli artisti.”
Come a suo tempo Afanas’ev, Stravinskij, nel cuore della
guerra mondiale, attualizza una fiaba contro la guerra. E lo fa
consapevolmente, con il soldato che sarà vestito di un’uniforme svizzera e i
nomi immaginari che hanno un vago sentore vaudois:
“Entre Denges
et Denezy,
Un soldat qui rentre chez lui”.
“La mia idea in origine era quella di trasporre
il periodo e lo stile del nostro spettacolo in una epoca senza tempo e pur
sempre nel 1918, calare i personaggi in molte nazionalità e in nessuna, senza
distruggere lo ‘status’ religioso-culturale del Diavolo. Perciò il soldato
dell’allestimento originale era vestito con l’uniforme di soldato semplice
svizzero del 1918, mentre l’abbigliamento del lipidotterofilo, e specialmente
la foggia dei capelli erano quelli del periodo 1830. perciò i nomi di luoghi
come Denges e Denezy sembrano ‘vaudois’ come assonanza, ma in effetti sono
immaginari; questi regionalismi ed altri ancora […] potevano essere cambiati
secondo il luogo in cui avveniva la rappresentazione e, infatti, io incoraggio
tuttora chi allestisce questo spettacolo a localizzarlo e, volendo, ad
abbigliare il soldato con un’uniforme anche più remota nel tempo, purché
simpatica al pubblico. Il nostro soldato, nel 1918, fu capito in modo molto
preciso come vittima del conflitto mondiale allora in atto, nonostante la
neutralità dello spettacolo per altri aspetti. L’Histoire du soldat resta il mio unico lavoro teatrale
con un riferimento al mondo contemporaneo.”
....continua (chissà)
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