sabato 2 novembre 2019

Assedio/1 Scrivere del cerchio: la Leningrado di Lidija Ginzburg. Uno stralcio della mia recensione sull'"Indice dei libri del mese" di novembre


Leningrado. Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg (1902-1990), tradotto e introdotto da Francesca Gori, è il nuovo titolo della collana “Narrare la memoria” ideata da Memorial Italia. Sotto il suo testo, pubblicato per la prima volta nel 1984, l’autrice ha apposto una triplice data «1942-1962-1982», a testimonianza non solo delle difficoltà di pubblicazione, ma anche di tutto l'instancabile lavoro di limatura durato quarant'anni.[...] La Leningrado dei leggendari novecento giorni dell’assedio, tra il settembre 1941 e il gennaio 1944, è innanzitutto gorod-golod, città fame. La fame descritta da Ginzburg, con i suoi riti e la sua routine, tuttavia, non è solo espressione di un bisogno fisico, è l’essenza intima della realtà vissuta dalla città col suo tempo che sgocciola via la massa corporea dei suoi abitanti, in una tragica normalità fatta di norme atte a organizzare deperimento e morte.
[...] L’uomo dell’assedio, infatti, è un individuo dall’esistenza nuda, ma ha uno scopo: sopravvivere, far scorrere il tempo e non morire, perché è un leningradese e resiste, in questo senso la sua lotta con la fame è percepita anche come un fatto sociale. L’individuo è una particella del corpo di Leningrado città, corpo nudo privato della sua carne, avamposto di una resistenza eroica e della propria morte al tempo stesso. È un individuo dalla vita pesante e dalla morte leggera, la morte del distrofico: “Una morte senza stupore: c’era un uomo e ora non c’è più” (p. 176), ben lontana dal processo tormentato descritto nella Morte di Ivan Il’ič da Tolstoj (l’autore più letto nella Leningrado assediata, anche per la sua particolare visione dell’eroismo scevra da ogni retorica). [...] Non è facile orientarsi nel panorama etico della vita quotidiana nell’assedio. Come scriveva Giorgio Agamben a proposito di Auschwitz, anche qui non abbiamo alcun “cartografo” di una nuova terra etica, benché il tema sia diventato materia di molti studi storici. Episodi di ferocia, cannibalismo e violenze inaudite si alternavano a momenti di condivisione e sacrificio. Pietà e crudeltà, indistricabilmente intrecciate insieme anche nel titolo di una delle prose ginzburghiane, sono un motivo costante nella descrizione dei rapporti umani della gente assediata, intrappolata senza scampo negli ingranaggi di un mostruoso ed efficace meccanismo di annientamento, tra bombe, gelo, fame e pericolose delazioni, quando ogni mese del primo terribile inverno aveva la sua caratteristica specifica: dicembre e le slitte coi cadaveri avvolti nei lenzuoli; gennaio e i numerosi cadaveri abbandonati per strada; febbraio e i cadaveri impilati ai bordi delle vie. Come in Primo Levi, il sentimento che prevale è la vergogna, vergogna perché la nuda sopravvivenza è già di per sé misura dell’insufficienza del proprio sacrificio. [...]

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