4/ Mercoledì Santo: Maddalena II di Boris Pasternak
Nel Dottor Živago, Maddalena
si riflette in una moltitudine di figure e immagini. Ma questo ora poco
importa: nella sua ipostasi più profonda al di là della superficie
autobiografica o narrativa, la Maddalena è il femminile (non c’entra qui il
genere tout court), principio di
apertura e di dono da un lato, ma anche di fisicità pesante, di legame con la
materia. “Fa che sia scala di riscatto /La carne ingannatrice” pregava
Ungaretti.
E se il
Cristo pasternakiano è legato in special modo al Sabato Santo, all’esperienza
del Getsemani, momento di passaggio tra la morte e la Risurrezione, la
Maddalena in modo carnale e sensibile traghetta lo smarrimento del Sabato verso
l’aurora domenicale, nello stupore dell’epifania e della gioia che sgorga
dall’essere chiamati per nome, quando il Cristo risorto, giardiniere mancato,
esclama:” Maria!” Lei è davvero risorta con Lui in quel momento di veggenza e mutuo
riconoscimento.
Al centro
della Settimana Santa il Femminino. Mercoledì. In modo poco esibito, quasi non
detto (come tutta la teologia che riflette su Maria Maddalena, collaterale, fin
apocrifa lungo la storia), le donne sono al centro di quel tempo concreto,
scandito da ore e giorni come i nostri, ma assunto a mito potente in virtù
della densità del dolore, del male che vi è colato. Tutto il dolore e il buio
del mondo in quei giorni cattivi.
Il mercoledì,
in russo sreda, centro, si incardina
dunque sulla figura di Maria di Magdala e la liturgia ortodossa quel giorno fa
un imprevisto scarto di lato e lascia parlare le donne, a piena voce, discorso
diretto. Quel giorno nei templi risuona un tropario speciale, l’inno di Kassia,
badessa del IX secolo, caso unico di donna autrice di inni liturgici bizantini,
accolti nel canone.
Nel romanzo lo cita l’amica di Lara, la strana filosofa
Sima: “Mi ha sempre interessato sapere perché della Maddalena si faccia
menzione proprio alla vigilia della Pasqua, alla vigilia della morte di Cristo
e della sua resurrezione. Non so spiegarmelo, ma questo richiamo al senso della
vita è profondamente tempestivo nel momento del congedo dalla vita e alla
vigilia del suo risorgere. /…/ Con un'evidenza tangibile, tremenda, la
Maddalena si pente dei suo passato e lamenta che ogni notte riaccenda in lei
gli antichi impulsi. 'La notte è per me un riaccendersi di infrenabile
libidine, oscura guerra senza luna del peccato.' Prega Cristo di accogliere le
sue lacrime di pentimento e di piegarsi ai sospiri del suo cuore, perché ella
possa asciugargli i piedi purissimi coi propri capelli, quei capelli entro il
cui fruscio si era nascosta, nel Paradiso, confusa e vergognosa Eva. 'Bacerò i
tuoi purissimi piedi e li asciugherò coi capelli del mio capo, come Eva in
Paradiso si nascose fra i suoi, atterrita dal rumore.' E, subito dopo, prorompe
il grido: 'O moltitudine dei miei peccati, chi esplorerà gli abissi del
destino?' Che intimità, che uguaglianza fra Dio e la vita, fra Dio e l'individuo,
fra Dio e la donna!”
Nel 1923 Marina Cvetaeva aveva dedicato a Pasternak tre poesie sulla
Maddalena.
Ad esse il poeta risponde col romanzo intero e, in particolare, con le due Maddalena del ciclo di Živago.
La seconda
poesia del ciclo pasternakiano risponde direttamente alla terza di Cvetaeva,
creando un duetto, dove il movimento di uscita dal Sé, il processo di svuotamento
(kenosis) che rappresenta il
significato essenziale del motivo della Maddalena, si concretizza anche nello
scambio per cui la poeta donna s’incarna nella voce del Cristo rivolta alla
Maddalena, mentre nei versi del poeta uomo è Maddalena a parlare. Usando
entrambi tutti i motivi tradizionalmente legati alla figura della Maddalena, la
mirofora, i capelli, le lacrime, ma anche la terra, i due poeti percorrono un
cammino diverso. La Maddalena di Cvetaeva è inchiodata di fronte all’amato nel
suo darsi e nel tormento che ricorda la propria pesantezza (il demoniaco
percorre entrambe le figure).
La Maddalena
di Pasternak invece parte dal male che sente in sé e dal fato compiuto «per crescere fino alla
resurrezione».
Lo svuotamento, il vuoto, «il
terribile intervallo»
dei tre giorni di «terra
verminosa» tra la morte
e la resurrezione, la mutezza e cecità (cecità/veggenza di Sibilla), la
catastrofe descritta (il velo del tempio squarciato) del Sabato hanno un esito
e non sono la parola finale.
Pur
riportando tutto a una dimensione terrena e soprattutto quotidiana (la Pasqua
che si avvicina è evocata come il momento in cui si fanno le pulizie, la mirra
si attinge da un secchio!), con i suoi abituali scarti vertiginosi (l’eternità
che aspetta come un cliente di prostituta), Pasternak usa immagini più
direttamente legate alle Scritture (alabastro, Maestro, velo del tempio,
peccato, croce), stratificandole in un fascio di associazioni che ci parlano a
un tempo di Marina Cvetaeva, del dono straboccante della poesia e dell’atto
d’amore con il loro residuo opaco di peccato e il loro potenziale di
redenzione.
Ci parlano,
sopra ogni cosa, della morte e del suo esito sofferto, la Resurrezione.
Maddalena
2.
Fa pulizia la
gente prima della festa.
In disparte
da questa calca,
Io lavo con
la mirra dal secchio
I piedi tuoi
purissimi.
Frugo in giro
e i sandali non trovo.
Non vedo
niente per le lacrime.
Sugli occhi
in un velo mi sono cadute
Le ciocche
dei capelli sciolti.
I piedi tuoi
ho affondato nella veste,
Di lacrime li
ho innondati, Gesù,
Con filo di
perle dal mio collo li ho fasciati
Nei capelli
li ho sepolti come in un burnus.
Il futuro vedo così nitido,
Come se tu l'avessi fermato.
Io ora son capace di profezia
Con la savia veggenza delle Sibille.
Domani il velo del tempio si squarcerà;
Ci raduneremo noi in disparte,
E la terra vacillerà sotto i piedi
Mossa forse a pietà di me.
Si serreranno le file della scorta,
E comincerà dei cavalieri la ronda.
Come tifone nella tempesta, sulla testa
Verso il cielo si scaglierà questa croce.
A terra ai piedi del crocifisso mi getterò,
Come morta, mi morderò le labbra.
A troppi, a quanti le braccia in abbraccio
tu tenderai agli estremi della croce.
Per chi al mondo tanta ampiezza,
tanto tormento e così grande forza?
Tante anime e vite sono al mondo?
Tanti villaggi e fiumi e boschi?
Ma passeranno tre giorni tali
e getteranno in
un tale vuoto,
che passato questo terribile intervallo
Io crescerò fino alla resurrezione.
У людей пред праздником уборка.
В стороне от этой толчеи
Обмываю миром из ведерка
Я стопы пречистые твои.
Шарю и не нахожу сандалий.
Ничего не вижу из-за слез.
На глаза мне пеленой упали
Пряди распустившихся волос.
Ноги я твои в подол уперла,
Их слезами облила, Исус,
Ниткой бус их обмотала с горла,
В волосы зарыла, как в бурнус.
Будущее вижу так подробно,
Словно ты его остановил.
Я сейчас предсказывать способна
Вещим ясновиденьем сивилл.
Завтра упадет завеса в храме,
Мы в кружок собьемся в стороне,
И земля качнется под ногами,
Может быть, из жалости ко мне.
Перестроятся ряды конвоя,
И начнется всадников разъезд.
Словно в бурю смерч, над головою
Будет к небу рваться этот крест.
Брошусь на землю у ног распятья,
Обомру и закушу уста.
Слишком многим руки для объятья
Ты раскинешь по концам креста.
Для кого на свете столько шири,
Столько муки и такая мощь?
Есть ли столько душ и жизней в мире?
Столько поселений, рек и рощ?
Но пройдут такие трое суток
И столкнут в такую пустоту,
Что за этот страшный промежуток
Я до воскресенья дорасту.
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