6/ Venerdì Santo. Lo zero della poesia
Nelle 25 poesie del ciclo di Živago non ce n’è una sul Venerdì Santo. Il ciclo è un cerchio,
si apre e si chiude con il Getsemani, la solitudine di Cristo, l’accettazione
della propria parte nella vita e l’occhio sulla Storia che scorre come un fiume
al Suo cospetto. Si sente ovunque tangibile il mistero della morte, nelle
pieghe della terra, e nelle stesse pieghe spunta turgida la spinta delle gemme
cariche di vita. Ma nel momento della morte la poesia tace.
Solo
una traccia rimane, nel testo del romanzo, di una poesia di Živago,
concepita nel delirio della malattia e perduta:
«Non scrive un poema sulla resurrezione o sulla
deposizione nella tomba, ma sui giorni che intercorrono tra l'una e l'altra.
Scrive il poema Turbamento.
Aveva sempre voluto scrivere di come, nel corso di
tre giorni, la bufera di nera terra verminosa assediasse, assalisse l'immortale
incarnazione dell'amore, scagliandosigli addosso con le sue zolle e grumi, proprio
le onde della risacca marina quando piombano sullo slancio e seppelliscono
sotto di loro la riva. Così per tre gioni infuria, incalza e si ritrae la nera
bufera di terra.
E due versetti rimati lo perseguitavano:
Felici di sfiorare e Bisogna risvegliare
Felici di
sfiorare sono l'inferno e la decomposizione, e la putrefazione, e la morte e,
tuttavia, assieme a loro, Felice di sfiorare
è anche la primavera, e Maddalena, e la vita. E allora bisogna risvegliarsi.
Bisogna risvegliarsi e alzarsi in piedi. Bisogna risorgere.»
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