5/Giovedì Santo: L'orto del Getsemani di Boris Pasternak
Giovedì pulito, verde, bianco, grande, della
Passione, del Mandato, e perfino rosa, per gli incomprensibili a me svedesi.
Tanti sono i modi con cui le lingue hanno cercato il tratto saliente di questo
giorno santo: il giorno in cui è istituita l'Eucarestia e la Memoria
dell'Incarnazione, quando la memoria stessa si vuole incarnata e non si
appoggia a parole o a precetti, ma a atti di carne come il mangiare e il bere.
Eppure se i nomi sono tanti vuol dire che
ricchezza di senso c'è, ma anche incertezza nel definire.
Al mattino del Giovedì Santo, nel Mattutino
ortodosso, si canta il tropario (un inno di poche frasi ripetute che di solito riassumono
il senso della celebrazione, una sorta di condensato di festa, spesso
incardinato sulla Vita del Santo del giorno). E, stupefacente svirgolata, il
tropario di oggi ricorda il tradimento di Giuda, uscito quasi di corsa
dall'Ultima Cena.
Tutta la giornata liturgica ruota attorno alla
Cena, ma anche a Giuda che «vende chi lo aveva nutrito». Ma non è solo Giuda
che vien meno all'immagine di amore e comunione dell'Ultima Cena. La liturgia
ci consegna il momento in cui il dono si fa promessa, offuscandolo con ogni
tipo di tradimento e mancanza. Il Male è anche qui, nelle pieghe più intime del
Bene. L'Ultima Cena e la Lavanda dei piedi sono inserite un contesto di diffusa
indifferenza, tradimento e rinnegamento. L'abbandono: tutti fuggono (Mt.,
26,56).
Il dono non unisce, o se lo farà sarà molto più
tardi. Nessun vogliamoci tutti bene: solo Giuda, Pietro che rinnega e il sonno
dei discepoli. Le vergini stolte di cui Gesù aveva parlato qualche giorno prima
sono loro.
L'universo incurante illumina il camminare di Gesù
solo. Le strade si interrompono e non continuano nella Via Lattea, i piccoli
brillii degli argentei ulivi cercano ma non riescono ad essere stelle. Burroni,
muri, recinti. Ma da quella deserta, assoluta solitudine c'è quella volontaria
discesa nella tomba venuta pericolosamente a redimere il corso dei secoli
L'ORTO DEL GETSEMANI
Noncurante, un brillio di stelle lontane
Illuminava la curva della strada.
La strada aggirava il Monte degli Ulivi,
In basso le fluiva di sotto il Cedron.
Nel mezzo la radura finiva in un
burrone.
Oltre cominciava la Via Lattea.
Canuti ulivi argentei nell'aria
Provavano a incamminarsi lontano.
In fondo, c'era un orto, un podere.
Lasciati i discepoli al di là del muro,
disse loro: «L'anima è triste fino alla morte,
Restate qui e vegliate con Me.»
Rinunciò senza opporsi,
Come a cose avute in prestito,
All'onnipotenza e al dono dei miracoli,
E fu allora come i mortali, come noi.
La lontanzanza della notte ora
Era terra d'annientamento e non essere.
Lo spazio dell'universo era deserto
E solo l'orto un luogo di vita.
E guardando quelle nere voragini,
Vuote, senza principio né fine,
Perché il calice di morte da lui allontanasse
Sudando sangue pregò il Padre Suo.
Lenito dalla preghiera lo spasimo di morte,
Uscì al di là del recinto. Per terra
I discepoli, vinti dal sonno,
Giacevano tra l'erba sul ciglio.
Lui li destò: «Il Signore vi ha eletti
Per vivere i Miei giorni, e voi
giacete
come massi.
E' venuta l'ora del Figlio dell'Uomo.
Si consegnerà in mano ai peccatori.»
Così disse ed ecco dal nulla
Una folla di servi e una torma di vagabondi,
Fiaccole, spade e davanti: Giuda
col bacio del tradimento sulle labbra.
Pietro reagì con la spada agli sgherri
E un orecchio mozzò a uno di loro.
Ma sente: «Non col ferro si risolve la contesa,
Metti via la tua spada, uomo.
Forse che frotte di legioni alate
Non avrebbe qui schierato il Padre?
E allora, impotente a torcermi un capello,
il nemico si sarebbe disperso senza traccia.
Ma il libro della vita è giunto alla pagina
più preziosa d'ogni cosa sacra.
Ora deve compiersi ciò che fu scritto,
Lascia dunque che si compia. Amen.
Vedi, il corso dei secoli è un
racconto oscuro
E può prendere fuoco in piena corsa.
In nome della sua terribile grandezza
Io fra volontari tormenti scenderò nella tomba.
Io scenderò nella tomba e il terzo giorno mi leverò,
E, come discendono le zattere i fiumi,
Per il giudizio, a me, come chiatte in carovana,
affluiranno i secoli dal buio.»